Omaggio al "respiro" di CHRISTIAN BOBIN e al potere "sacro" della parola


 

Lettera diretta a Christian Bobin  e che non ho spedito   (temo che il mio "povero" francese non riesca a rendere le "sfumature") ...

 

Gentile Christian Bobin, ho letto alcuni suoi libri, che ho assaporato con gioia.

Mi hanno ispirato alcuni pensieri, che sono una risposta “poetica” alle sue sollecitazioni.

 

 

RESPIRARE "INSIEME", SETACCIARE PAGLIUZZE D'ORO.

Ci sono momenti di incontro (anche attraverso le parole di un libro) in cui si sente dilatare l'orizzonte interiore e, nel mio caso, mutarsi in poesia.

Questo è per me un segnale prezioso.

Ho la sensazione che mi si riveli una sintonia non sperata, che si apre alla gioia.

Avvertire la sintonia è, contemporaneamente, sentire che il proprio mondo interiore si fa più vivo, più attento, prende coraggio e forza, si dilata, si fa profondo e leggero, mentre sembra diventare "universale".

La sintonia fa catalizzare, precipitare, un mondo interiore, gli dà respiro, sostanza e gioia.

Ed è uscire dal preconfezionato, per scoprire la propria originalità, senza più adattarsi.

Che bello incontrare la "diversità", la freschezza dell'originalità: sembra quasi di vivere per la prima volta e la propria originalità sembra trovare la via.

E il respiro. Come si respira bene nella sintonia ! Tutto si vitalizza.

 

Amo "passeggiare" i suoi libri, con i suoi libri.

E le parole diventano presenza, mongolfiera, che si gonfia per volare.

La fraternità dell'innocenza.

Che cosa sono gli istanti "di grazia", quando si è come "trasfigurati" e il mondo si trasfigura, si fa più leggero, sospeso e prezioso ?

 

Amo chi si allontana dalle strade battute della "normalità" e scopre colori e sapori nuovi, in territori inesplorati, eppure intuìti.

Ed è il conforto di sapere che qualcun altro ci assomiglia.

E la straziante voglia di bellezza e di libertà, quando si esce dalle secche della banalità, dalle paludi della volgarità diventata norma e misura. Quando spunta un vivido raggio di sole, e si sa che la luce esiste e il cuore risponde e risplende.

E non potranno più ingannarti: lo sai dentro al petto.

Il dono di qualcuno che ha la magia di dire ciò che non sapevo pronunciare...

 

Non voglio essere riconosciuto e accolto per la mia "normalità": è una trappola mortale.

Cosa sono, dunque, venuto a portare?

 

C’è chi custodisce, con dolcezza, una limpida fiammella, che non avremmo sospettato o che credevamo estinta.

Le parole sono come le note solidificate di un pianoforte, pronte ad entrare in scena, chiamate a tradurre la concretezza dell’anima, a farla rivelare e fiorire.

Non sono le parole a mancarci, è la loro “concatenazione” il punto.

Le parole possono imprigionarci o magnificamente liberarci.

Le parole creano legami chimici, sintetizzano stati d’animo, possono farci incontrare noi stessi o murarci vivi.

Le parole possono riconciliarci con il nostro giardino profumato, possono rigenerarne la fragranza, risanare le superficiali invasioni e le ferite.

 

Chi si muove oltre i confini, apre altri orizzonti.

Forse i suoi libri, sono le gemme, i fiori della sua pianta.

 

Innamorarsi di un prato verde, che scintilla al sole.

 

E vorrei estrarre dalla mia pelle, dalla mia carne, tutte le misteriose pietre preziose che contengono, doni per me e per il mondo.

Continenti sconosciuti, da lasciar brillare al sole, smettendo di conquistarli.

Pietre preziose perché racchiudono la luce, la rendono solida, la catturano, la distillano, la restituiscono, la esaltano, la moltiplicano, la colorano, come un caleidoscopio.

Abitati dalla luce, sorridiamo al mondo, come bambini, senza alcuna pretesa, come specchi felici sul mondo.

 

E’ forse la ricerca della sostanza dell’essere, di ciò che siamo, dei dono seminati dentro l’anima e che aspettano di fiorire, nello splendore, nella dignità.

 

Se c’è una brama che avverto (nei suoi scritti), è brama di vita e di gioia.

E il sogno di ripulire le ferite, di riordinare la tavola e di sorridere al cielo, finalmente non più indifferente, perché chiamato, insieme a noi, all’esistere.

 

E tu che mi aiuti a sognare, nella mia casa, a tratti ritrovata.

 

E scoprire che anche i passi hanno un sapore…  tenue e inebriante profumo di rosa.

 

Cammino in questo piccolo sentiero di libertà, divenuto caro, un sentiero che perde i suoi confini e mi regala la sorpresa di un cielo di dolcezza.

E ora potrei perdermi, quasi incredulo, in totale serenità, mentre il vento gioca tra le nuvole di fumo.

Adesso il silenzio è come una presenza, mentre si sente il fruscio delle canne.

 

GRAZIE PER QUESTO VOLO INCANTATO, PER QUESTO SORRISO NELLA PELLE.

 

 

FRAMMENTI

 

"L'uomo che cammina", libro di Christian Bobin,  ha la leggerezza del respiro, sembra dare forma e sostanza ad un'essenza impalpabile e vitale, necessaria. Solidifica, concretizza.

C'è forse qualcosa che ognuno si aspetta che si materializzi, qualcosa che è l'apertura di un varco, qualcosa che risuona dentro in maniera cristallina, immediatamente riconoscibile e potente.

Ciò che è manifesto canta qualcosa che abbiamo sepolto.

Vagamente sentiamo che ne abbiamo una vitale necessità, e restiamo in attesa, certi che sapremo immediatamente riconoscerlo. È parte di noi.

E sappiamo che è oltre la voce del mondo, oltre ciò che il mondo è disposto a riconoscere e praticare. Eppure esiste e dà sostanza alla nostra dignità e pienezza alla nostra esistenza.

 

E ti scopri a volare, con i piedi leggeri e il respiro impalpabile.

Che cosa ci rende pesanti i piedi? 

Cosa ci impedisce di "volare", se non ciò che si accumula e si sedimenta dentro di noi:  pensieri "certi" e granitici, visioni ...?

Forse dovremo imparare a viaggiare leggeri, con la borsa vuota e lo sguardo aperto.

Senza "certezze" che ci paralizzano.

 

E scopri - non l'avevi mai fatto - che, colle mani a coppa, puoi bere l'acqua alla fonte.

E ti sembra un prodigio, proprio come un bambino felice.

Forse non c'è felicità più limpida e vera di quella di un bambino.

 

L'autenticità delle parole vere, quelle che fecondano, che sono come una "medicina" potente.

Parole da bere, da mangiare. Parole che ti salvano, ti riscaldano, di rincuorano, e ti fanno piangere, che ti aprono il cuore.

 

Luciano Galassi

"IO MI CHIAMO FUORI"

(omaggio a Christian Bobin)

 

Quante battaglie, con terribili armature, crediamo di dover combattere, convinti che ci tocchino, che siano indispensabili, necessarie.

Iniziata la battaglia, seguitiamo a menare fendenti, persino al vento, anche se non ci soccorre più la memoria del perché.

Sarà l'elmo calato sugli occhi o saranno le cattive e insistenti lezioni mal digerite, ma sembriamo tragicamente inarrestabili.

Fendenti, affondi, schivate...

Piccozze sul gelo che brilla, che scaliamo, lenti e aneli...

 

Fino a che ti accorgi della tua immane stupidità, della tua stratosferica stupidità.

Fiumi di energia sprecati, dilapidati, gettati al vento, che mai arriveranno a nessun mare, che saranno bevuti dalla sabbia dell'inutilità.

Svaniti i fumi di un alcool di pessima qualità, resta solo una luce abbagliante, fissa, persistente, invadente, provocante, come il lampo di una bomba progettata per spaccare tutti gli atomi, tutti i legami, tutte le frontiere, ogni pensiero, ogni proprietà.

Una luce che ti lascia nudo, balbettante e senza più patria.

E c'è un rumore persistente di martello nelle orecchie, come un maglio, senza occhi e con un'unica voce, devastante e sorda.

"Tum ! Tum ! Tum !"

Allora perdi ogni orientamento, e ridi, diventi risata, calda, travolgente, come uno tsunami, come le corse sulla sabbia, da bambino.

"Tana libera tutti !", ti viene da dire.

Adesso basta, adesso non giochi più a quel gioco crudele. Ti chiami fuori.

E solo adesso, rinsavito, ti accorgi della pazzia che ti cresceva dentro, a cui davi voce, linfa, sangue, che era diventata la tua fulgida e rassicurante bussola, il perfido baluardo della libertà e della verità.

Così cadono a pezzi tutti i mulini a vento, come Gerico al suono della tromba.

Riesci solo a ridere della tua "santa" follia, della guerra che non ti apparteneva, non ti riguardava, e per la quale eri stato arruolato di nascosto, come una molla che ti era stata caricata dentro, sino a spezzarne la chiave.

E quasi non ci credi, quasi ti manca il respiro, tanto è libero e aperto, come un tappo di spumante che arriva al cielo, e porta con sé infinite e inebrianti bollicine, le più leggeri, le più saporite, le più esaltanti.

Ti si piegano le ginocchia, guardi il cielo col filtro delle lacrime, nella tua patria ritrovata, nella voragine dell'incredulità, felicemente benvenuta e salutare.

Ora sei libero dai tranelli della mente, dai mille luoghi comuni della normalità.

"Non è la mia guerra !", sussurri piano, i piedi diventati pesanti e vivi.

"Non è la mia guerra !"

 

Ora pianterai solo fiori colorati, per lo sguardo sorpreso, paziente e saggio delle stelle.

Per le radici, hai aperto lo spazio del tuo cuore...

 

Luciano Galassi

(febbraio 2014)