CROCE frazione di Caldarola (MC)

Un approccio sensibile-poetico

( quasi "Apprendisti paesologi" )


Non esiste luogo

se non attraverso la mediazione

della nostra presenza

 e del nostro sguardo

 

 

All'intimo respiro di Croce di Caldarola


Cuore di piccola armonia, nel silenzio quieto e sognante,

oltre ogni parola, non più necessaria.

Il tempo distilla i passi del giorno

e distende il suo lieve manto dorato.

Infine scompare, stampella abbandonata,

adatta al chiasso e alla fretta,

che non si sedimentano nell’anima.

 

Qui anche l’aria è vita e sogno,

e ti raggiunge premurosa, a piccoli sorsi,

lentamente, come un uccello che porta

il cibo necessario nel nido appartato.

Anche una mosca ha qui i suoi istanti di gloria,

nel suo volo assordante.

 

Qui ci sei solo tu, e sei tutto il mondo,

invitato a bastarti, per i giorni e le notti.

Qui hai da farti buona compagnia,

hai da diventare cibo e acqua per la tua pace.

 

Come ti chiami lo porta via il vento,

resta solo il tuo cuore, a nutrirsi del limpido silenzio,

e forse ad insegnarti la via per il solo essere.

 

 

Ci pensano le pietre a farti compagnia,

come un gatto acciambellato che fa le fusa … e ride.

 

Luciano Galassi

(31 agosto 2014)

Io non so quale concomitanza di aspetti crei la particolarità di Croce, se la montagna, l’isolamento, gli abitanti, delle specifiche magnetiche …

Di sicuro mi sentirei di definirlo – specie nello spazio circoscritto e “protetto” dal castello -  un luogo di “risanamento”, adatto al raccoglimento, al recupero di un dialogo con sé stessi, al ritorno a sé stessi.

Un luogo dall’energia forte, che si offre senza chiedere niente.

Una “cittadella” dell’intimità, dove tutto sembra rallentare e acquietarsi.

 

Forse anche un luogo che meriterebbe un più ampio recupero e risanamento. 

 

 

RIFLESSIONE

 

PAESI SOLI

 

Io ho l'impressione che i nostri paesi li abbiamo abbandonati a sé stessi, li abbiamo privati del nostro "nutrimento".

La nostra prima "dimora", dopo l'isolamento vissuto nelle campagne, è il paese. Da lì proveniamo, ma del paese abbiamo quasi finito per vergognarci, assumendo il modello della città, della grande città.

 

Negli anni '80 la sede Rai delle Marche mandò in onda, per numerose puntate, una trasmissione radio dal titolo "Ciao a tutti".

Il sottotitolo recitava: "Quando la gente fa spettacolo, e quasi quasi non lo sa".

La trasmissione, ideata e curata da Terenzio Montesi, si proponeva di esplorare, capillarmente, il mondo dei canti, dei balli, dei suoni, delle tradizioni e della cultura contadina delle Marche.

Purtroppo la gran parte dei materiali registrati risulta essere andata perduta:  un'autentica follia !

 

Approfitto qui per dire che il sottotitolo della trasmissione lo trovo del tutto inadeguato e fuorviante.

Quella gente mai si sarebbe immaginata che ballare sull'aia o in una piazza, cantare, suonare l'organetto, potesse essere uno spettacolo.

Quello che facevano era solo per loro, con un pieno coinvolgimento e piacere. Erano semplicemente sé stessi. Non dovevano mostrare o dimostrare niente a nessuno. Oggi facciamo spettacolo del folklore …

 

Una delle puntate si registrò a Visso e, insieme a quelli che oggi vengono definiti "autentici portatori della tradizione" (altra definizione che odio: quelle persone non volevano proprio portare niente: erano immersi nella loro vita !) fu lasciato spazio a dei ragazzi che avevano costituito un gruppo musicale.

Quando Montesi chiese loro a cosa si rifacessero, quale fosse la loro fonte di ispirazione musicale, risposero: New York !

Chissà se li sfiorò il contrasto abissale con l'ispirazione, non solo della trasmissione in atto, ma anche con quella dei loro padri, fratelli, nonni, che si rifacevano, invece, alle loro radici, al luogo dove vivevano ?

E da dove veniva quella nuova fonte se non da "fuori", dalla televisione, dalla radio, dal cinema, dalle riviste, ecc. ?

Il paese sembrava del tutto insufficiente, incapace di dare stimoli, di essere ispiratore. Un cencio vecchio, da abbandonare.

Questo non vuol dire che si debba essere chiusi al mondo, al nuovo, alla diversità, ma scegliere New York, o qualunque altro luogo lontano, è uno dei passi che rischia di separarci dal nostro luogo, lo svaluta, lo svuota del nostro affetto.

Così, lasciati a sé stessi, trascurati, "abbandonati", scopriamo che i paesi non ci bastano più.

 

Luciano Galassi

(9.11.2014)

 

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 del "paesologo"  FRANCO ARMINIO