SCAPPA, PINOCCHIO, SCAPPA ! …

 

Ho conosciuto il libro di Pinocchio da bambino.

Mi è restata impressa la vivacità birichina di Pinocchio, le sue corse gioiose, come pure l'entusiasmo per il Teatro dei Burattini, la paura per Mangiafuoco, il terrore per i quattro conigli neri con la bara sulle spalle, il fascino del Paese dei Balocchi e poi la trasformazione in ciuchi, il Grillo parlante, la balena, il Pescatore verde, l'ingiusta catena di Medoro, ecc.

in tutto questo, in questo facile identificarsi in Pinocchio, aveva un posto del tutto insignificante la sua trasformazione in bambino, così come, quasi per un aggiustamento inconscio, finivano per smussarsi le paure, le punizioni, il progressivo "normalizzarsi" di Pinocchio.

 

Rileggerlo oggi è stato vivere una disillusione di quelle impressioni infantili, di quegli adattamenti personali, e Pinocchio mi si è rivelato per quello che è realmente.

 

I primi tre capitoli della fiaba rappresenta una specie d'introduzione, molto accattivante.

"C'era una volta un pezzo di legno"...

Simpatico ci appare mastro Ciliegia (soprannome di mastr'Antonio), come pure incuriosisce quella vocina sottile e misteriosa che viene da quel semplice pezzo di legno da catasta, che sembra racchiudere in sé un'anima sensibile e che sconvolge mastro Ciliegia.

 

Parimenti simpatico è Geppetto, vecchietto tutto arzillo, soprannominato Polendina.

Geppetto chiede a mastro Ciliegia un pezzo di legno, perché ha in animo di realizzare un meraviglioso burattino di legno, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con il burattino intende girare il mondo e guadagnarsi da vivere.

Mastro ciliegia gli dà subito, con sollievo, quello strano pezzo di legno, che è però subito causa di lite tra i due.

Il racconto è vivace, divertente e cattura senz'altro il lettore.

È da notare però - e questo lo si comprenderà assai meglio in seguito - come ci siano due metri di giudizio nel Collodi, uno che vale per gli adulti e un altro per i bambini.

Le liti tra mastro Ciliegia e Geppetto vengono descritte in maniera brillante, simpatica e si concludono con la riappacificazione e il giuramento di rimanere buoni amici per tutta la vita.

Non vi sono altre conseguenze, né il Collodi esprime - a ragione - alcun giudizio sul comportamento dei due. Si sorride divertiti, e basta.

Ben diversamente avverrà nei confronti di Pinocchio, le cui gesta sfociano in "tragedia".

Mastro Geppetto è povero in canna, ma tutta questa miseria è parte del "personaggio" e non agita troppo l'animo, per altri versi noiosamente moralista, del Collodi.

Particolarmente divertente è l'intera operazione della "nascita" di Pinocchio, dall'attribuzione del nome, agli occhi che si muovono, al naso che si allunga a dismisura, alla bocca che ride, canzona, fa boccacce, alle mani che strappano di testa la parrucca a Geppetto, ai piedi che gli sferrano un calcio sul naso.

Ecco una prima, indelebile "definizione" di Pinocchio, che suscita immediata simpatia.

 

E, da ragazzino vivace qual'è, ecco che si mette a camminare e correre per la casa, e poi se ne esce di corsa.

Ed ecco che Pinocchio entra in una specie di terreno minato, che lo accompagnerà per tutta la fiaba.

 

Qui possiamo seguire due strade: una è quella di metterci dal punto di vista di Pinocchio, della sua vivace curiosità, è un'altra è quella di vedere la cosa da un punto di vista di "adulto" giudizioso e "responsabile", strada che segue il Collodi.

O ci abbandoniamo all'entusiasmo di Pinocchio, al suo slancio vitale, alla sua voglia di correre, di vivere, oppure seguiamo l'altra via e allora vedremo in ogni gesto "anomalo" di Pinocchio qualcosa di pericoloso, che va incontro a rischi, a mettersi nei guai.

E ad una sfilza di guai va proprio incontro Pinocchio.

 

Geppetto viene arrestato per causa sua (ma in realtà è il solerte gendarme che si comporta in maniera assurda, ascoltando acriticamente le malelingue).

Pinocchio torna a casa e non ha niente da mangiare [ lo vedi quello che succede ! ], chiede l'elemosina e riceve acqua in testa, e poi gli si bruciano i piedi sul caldano.

Solo il ritorno di Geppetto, che chiede impegni a Pinocchio, riporterà la normalità.

E in tutta questa prima azione c'è la voce del Grillo parlante, a farci sapere qual è il giusto comportamento, adatto ad un bambino giudizioso.

"Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo, e prima o poi dovranno pentirsene amaramente", dice il Grillo parlante.

[E ai due vecchietti che si sbertucciano, poco edificanti, non andava fatta qualche predica ? Già, ma chi fa la predica sono solo i grandi e solo ai piccoli...].

Qui Pinocchio ci rivela la sua anima, il suo progetto di vita [che si rivelerà altamente "fuorilegge"]:

"... domani all'alba voglio andarmene di qui, perché, se rimango qui, avverrà a me quello che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola e, per amore o per forza, mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia, e mi diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido ".

E come mestiere Pinocchio farebbe quello di: "mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo".

[ Nessun programma fu tanto avversato !   Il Collodi lo demolirà, pagina per pagina ].

Ma il Grillo ha pronte immediate risposte: "ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro e che tutti si piglieranno gioco di te ?"

E ancora: "Tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione".

Il grillaccio finisce appiccicato alla parete, con sollievo di gran parte di noi, ma "risorgerà" e avrà, in fin dei conti, la sua rivincita.

In fondo l'intera vicenda di Pinocchio sembra un autentico calvario nel quale, tappa dopo tappa, viene "domato", ossia ricondotto alla ragione, alla normalità, a comportarsi da "bravo ragazzo".

Non è forse questa la storia della maggior parte di noi ?

 

Geppetto rifà i piedi a Pinocchio, solo dopo che questi gli promette di essere buono, di studiare con onore, di imparare un'arte e essere la consolazione e il bastone della vecchiaia del padre.

Ecco, in due parole, la mèta, la giusta misura.

E a ricatti ancora più terribili andrà incontro Pinocchio...

Riavuti i piedi, Pinocchio esulta di gioia, fa mille sgambetti e capriole, come se fosse ammattito dalla contentezza.

Pinocchio decide di andare a scuola, ma ecco che si lascia catturare dalla febbre della curiosità.

Sente "in lontananza una musica di pifferi e di colpi di gran cassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum".

Era Il Gran Teatro Dei Burattini.

Pinocchio vende l'abbecedario, per il quale il padre si era privato della misera casacca, marina la scuola e va al teatrino.

Quanti bambini non sarebbero stati presi dal teatrino ? A quanti non suscita entusiasmo ?

 

Ma, sempre per la logica dell'insegnare ad essere un "bravo ragazzo", del dovere prima del piacere, a Pinocchio vengono fatti attraversare altri guai, a catena.

Prima rischia di essere bruciato, ad opera del burattinaio Mangiafuoco, poi finisce nelle grinfie del Gatto e della Volpe che, per prendergli le cinque monete d'oro che Mangiafuoco gli ha donato per Geppetto, gli parlano del Campo dei Miracoli, dove si seminano monete che si moltiplicano, e poi si travestono da Assassini e lo impiccano alla Quercia grande.

Nel frattempo entra in scena un altro personaggio: la Bambina dai capelli turchini (che seguirà anche lei una trasformazione da bambina ad adulta), una fata "amorevole" (è lei che egli annuncerà la trasformazione in bambino), ma anche dal cuore di pietra.

Quando infatti Pinocchio, inseguito dagli Assassini, bussa alla sua porta, chiedendo aiuto, lo beffa e spaventa ulteriormente dicendogli che in quella casa sono tutti morti, anche lei, e non gli apre, per cui finisce impiccato.

Solo allora si impietosisce e lo fa liberare.

Chiama poi i medici per guarirlo, e quando gli porge un bicchiere con una polverina amara sciolta nell'acqua, che Pinocchio rifiuta, non esita a terrorizzarlo [ così come restavo io da bambino leggendolo ] facendo entrare "quattro conigli neri come l'inchiostro, che portavano su le spalle una piccola bara da morto".

Pinocchio le racconta la sua disavventura, ma dice delle bugie e questo gli fa allungare il naso a dismisura.

La fata lo guarda e ride sadicamente.

"La fata lasciò che il burattino piangesse e urlasse una buona mezz'ora, a motivo di quel suo naso che non passava più dalla porta di camera; e lo fece per dargli una lezione severa e perché si correggesse dal brutto vizio di dire le bugie, il più brutto vizio che possa avere un ragazzo".

 

Solo quando Pinocchio è oramai alla disperazione, si decide a far arrivare un migliaio di picchi, che gli riportano il naso alla normalità.

"Quanto siete buona, Fata mia" [...] "e quanto bene vi voglio !", le dice, boccheggiante, Pinocchio ...

Avrà imparato la lezione ?

Pinocchio parte per tornare da Geppetto, ma si imbatte ancora nel Gatto e la Volpe, che lo convincono a seminare le sue monete nel Campo dei Miracoli, nel paese di Acchiappacitrulli e, naturalmente, lo derubano.

Pinocchio va a chiedere giustizia al Giudice, ma quello, per tutta risposta, fa arrestare lui per quattro mesi.

Uscito di galera vuole tornare dalla Fata e fa, dentro di sé, "proponimento di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente".

Colto dalla fame, vuole prendere un grappolo d'uva, ma finisce in una tagliola e quindi a fare il cane da guardia al posto del defunto Melampo. Fa catturare le faine e viene liberato.

 

Come se gliene fossero capitate poche di disgrazie - a partire dal momento in cui seguì l'impulso di andare al Teatro dei Burattini - al posto della casa della Fatina trova una lapide: "QUI GIACE LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI MORTA DI DOLORE PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO".

Più terribili di così !...

 

Geppetto è intanto partito con una barca alla ricerca del figlio.

Pinocchio lo vede in pericolo tra le onde del mare e si getta per salvarlo.

Capita in un'isola e arriva al Paese delle Api industriose, dove riceve l'ennesima lezione: "Invece di fare il bighellone per la strada, vai piuttosto a cercarti un po' di lavoro, e impara a guadagnarti il pane", gli dicono le persone a cui chiede qualcosa da mangiare.

La Fata - che dunque non era per niente morta - sotto le vesti di una donnina, lo sfama, dopo essersi fatta portare a casa una pesante brocca d'acqua.

A questo punto la Fata gli fa una grande rivelazione: Pinocchio sarebbe potuto diventare un bambino come tutti gli altri, a condizione di essere ubbidiente, pieno di amore per lo studio e il lavoro.

Pinocchio promette di diventare un ragazzino per bene e di essere la consolazione del suo babbo.

Ma la Fata vuole stringere i tempi e vuole che Pinocchio vada a scuola all'indomani, poi avrebbe potuto scegliere un'arte o un mestiere.

Pinocchio storce la bocca, dice che non vuole fare arti o mestieri, ma di fronte al timore di finire in carcere o all'ospedale afferma solennemente: "Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi".

Pinocchio va dunque a scuola, si trova però in conflitto con i suoi compagni, che si sentono messi in cattiva luce da lui; ne nasce una zuffa nella quale un ragazzino riceve un libro in testa e cade tramortito.

Ma vanno proprio tutte a finirgli in tragedia !...

 

Due gendarmi vanno per arrestarlo ma lui si tuffa in mare, inseguito dal cane "gendarme" Alidoro, che però non sa nuotare e che Pinocchio salva.

Finisce poi nella rete del terribile Pescatore Verde che vuole friggerlo.

Lo salva il riconoscente Alidoro.

Torna dalla Fata la quale, sapendo già tutto (se no, che Fata sarebbe ?) prima lo fa rimanere tutta la notte di fuori, al freddo, poi gli fa recapitare da una lentissima lumaca un pranzo col pane di gesso, un pollastro di cartone, e solo quando Pinocchio cade a terra svenuto (e dunque la punizione è stata protratta al massimo della sopportabilità) lo riceve in casa.

 

Altro perdono (di che ?), giuramento di Pinocchio di studiare, di comportarsi bene e la notizia che, all'indomani, sarebbe diventato un ragazzo vero.

Ma non è tutto così semplice, Pinocchio s'imbatte infatti in un'altra tentazione (non si sa se è lui a cercarle o se gli vengono incontro !): il Paese dei Balocchi, verso cui il suo amico Lucignolo è diretto, assieme ad altri bambini.

Inutile dire che Pinocchio cede al desiderio. Non è del resto affascinante il solo nome del Paese dei Balocchi ?

Il paese era entusiasmante: "chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno [...] chi recitava, chi cantava, chi faceva salti mortali, chi si divertiva a camminare con le mani in terra e con le gambe in aria [... ] chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso della gallina quando ha fatto l'uovo [...] Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera ".

Ma questo ulteriore cedimento di Pinocchio al desiderio, non poteva che condurlo ad altri guai.

Ecco infatti che lentamente si trasforma in asino, e con lui Lucignolo e gli altri.

Una marmottina (ogni tanto comprare uno di questi graziosi e bacchettoni animaletti) gli fa la morale: "Oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari".

 

Pinocchio, oramai preda del suo destino, viene venduto ad una compagnia di saltimbanchi a fare l'attrazione e quando si rompe una zampa è venduto ancora ad un signore che intende farne una pelle per un tamburo.

Per ucciderlo lo getta in mare, legato ad una pietra, ma ritira un burattino di legno.

Pinocchio riesce a scappare a nuoto, ma finisce nella pancia del feroce Pescecane.

Lì dentro ritrova Geppetto e insieme scappano a nuoto, aiutati da un Tonno amico.

Cercano casa e dentro vi trovano il redivivo e moralista Grillo parlante.

Pinocchio si mette a lavorare, impara a leggere e scrivere.

Viene a sapere che la Fata è all'ospedale, molto grave.

Pinocchio rinuncia a comprarsi un vestito e dà i soldi per lei.

Sogna la Fata che lo perdona delle sue monellerie, visto che assiste amorosamente Geppetto.

"I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non possono essere citati come modelli di ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l'avvenire e sarai felice".

Si sveglia e si trova trasformato. Anche la casa è diversa.

Allo specchio "non vide più riflessa la solita immagine della marionetta di legno, ma vide l'immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo coi capelli castani, con gli occhi celesti e con un'aria allegra e festosa come una Pasqua di rose".

"Com'ero buffo, quand'ero burattino e come ora son contento di essere diventato un ragazzino per bene !"


 

Chissà cosa sarà poi diventato Pinocchio?

Sicuramente una "personcina a modo".

 

Ciò che ci si presenta è, secondo me, il progressivo "addomesticamento" di Pinocchio che, da ragazzo "selvaggio" si trasforma, un po' per volta, in un "bravo ragazzo".

Per qualcuno tutto ciò è in perfetta linea con un "giusto" cammino educativo, per cui non si può fare tutto ciò che si vuole, è necessario accettare il "dovere", avere dei limiti, andare a scuola, essere obbediente, ecc.

Alla fine c'è il premio:   si è “normali”, si è amati, si ha "successo".

Non mi sembra neppure che Pinocchio attraversi delle prove che servono a farlo crescere, ad acquisire abilità, conoscenze: ciò che gli capita sono solo disavventure, conseguenze della sua vivacità, fatti punitivi, ricattatori, da cui esce sconfitto, "derubato", trasformato in ciuco.

Tutto sembra indirizzarlo verso una sola possibilità: ubbidire ai grandi e corrispondere a ciò che questi definiscono "ragazzo perbene". Il resto è perdizione, pericolo.

Progressivamente Pinocchio interiorizza infatti ciò che si vuole da lui, come pure l'immagine di ragazzo cattivo, testardo, svogliato, vagabondo, ingrato, senza cuore, bugiardo, senza giudizio, monellaccio, figliolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore suo padre…

Geppetto "gli è il babbo più buono del mondo, come io sono il figliuolo più cattivo che si possa dare".

 

Il "bravo figliolo", è invece quello che ubbidisce i genitori, non abbandona la casa paterna, dà retta a quelli che gli voglio bene e hanno giudizio, non dà retta ai cattivi compagni, ha voglia di studiare e di lavorare, dice sempre la verità, vuole essere la consolazione dei genitori, si fa onore, ha giudizio.

L'immobilità, la perdita di entusiasmo e di iniziativa, sembrano essere i requisiti essenziali del ragazzo "perbene".

Tutto questo ci insegna il Collodi.

È la rinuncia alla "natura" per aderire alla "cultura", il principio del piacere, contrapposto a quello di realtà.

"È la vita !", dicono i "saggi".

Io continuo ad essere fedele all'immagine di Pinocchio scavezzacollo.

 

Mi sono domandato come mai "Pinocchio" sia potuto diventare i II libro più conosciuto nel mondo, dopo la Bibbia e a pari merito col Corano.

Se è vero che l'intento manifesto (tanto caro agli adulti) è quello di insegnare la disciplina, il dovere, il diventare bravo bambino, è anche vero che traspare un'altra anima, forse la più autentica e certamente quella che, secondo me, ha decretato il successo del libro presso i bambini.

Ed è proprio quell'anima vivace, curiosa, ribelle e scapestrata ad attrarre il lettore, molto di più delle intenzioni "educative" dell'autore.

Il bambino che legge, opera una sua "censura" al libro, e forse si appropria, quasi esclusivamente, delle parti che più gli corrispondono, in cui più si riconosce.

Come dire che traspare nel libro il desiderio e la sua censura, ma che, alla fine, la vince il primo.

Non dimentichiamoci che, se rappresentazione di Pinocchio può esserci, è solo nelle vesti di burattino: è quello Pinocchio, e non il bravo bambino con il quale termina il racconto.

Finisce, appunto, forse perché un bravo bambino, standardizzato, normalizzato, non interessa più a nessuno, non diverte, non ha storia, è senz'anima.

E allora "l'inconscio" del Collodi gli ha giocato un brutto scherzo, o forse uno bello, nel senso che ha reso comunque manifesta quella parte nei fatti censurata, punita, ricacciata indietro, la parte più autentica, più profonda, che forse il Collodi custodiva nel cuore.

Perciò per me, se "Pinocchio" ha un merito, è nel rivelarci, nonostante tutto, quell'anima indomita del burattino, quel bambino di sempre in cui ciascuno si riconosce, che però alla fine non può che capitolare sotto tutte le batoste, ricatti, disavventure, pericoli, che ha dovuto attraversare.

La vittoria del bravo bambino è sul campo, quella del burattino, forse, è nella clandestinità.

 

Senza nulla togliere, anzi apprezzando le vivaci e brillanti doti ideative, la varietà di situazione e di personaggi di cui il Collodi è capace e da cui deriva tutta la nostra simpatia per Pinocchio, ho voluto osservare più da vicino la sua fiaba e sondarne le pieghe, le sfumature e quella che, a mio modo di vedere, è la fondamentale contraddizione: un vivace slancio di libertà, ingabbiato dai dettami di un luogo comune, quello dello sterilizzato e grigio "bravo bambino".

Collodi costruisce un magico sogno, che ci affascina, e che poi distrugge, pezzo per pezzo.

 

Ma non è arrivata l'ora di affermare quel bambino "perverso polimorfo", che è in ciascuno ?

Io mi ribello a questa macina schiacciabambini, a questa spontaneità soffocata, distrutta, a questa gioia rubata senza pietà. Non la reputo necessaria, ed è comunque un abuso di potere, quello dei grandi sui piccoli. Il trionfo della norma.

 

A quando una fiaba in cui Pinocchio affermi finalmente - e senza moralistiche conseguenze - il suo diritto di essere lasciato in pace, a seguire le pieghe del suo cuore ?

A quando un Pinocchio, che rimanga Pinocchio ?

 

Luciano Galassi