PER CHI È "DIVERSO"

( ma solo da noi )

L'ipocrisia e la violenza che la società non è disposta ad ammettere, perché sono parte costitutiva del suo essere

"Una barbarie ancora e poi basta ..." bronzetto di Luciano Galassi
"Una barbarie ancora e poi basta ..." bronzetto di Luciano Galassi

Sembrano bisbigli, ma forse sono solo urla soffocate, e la voglia di dire in faccia al mondo tutta la violenza che l’attraversa, dietro le facciate falsamente composte, i sorrisi dai denti d’oro.

La violenza che abita tra le pieghe di una società che ama vedersi tanto “perbene”, ma che coltiva la spietatezza degli artigli della crudeltà e dell’intolleranza.

La gente troppo "perbene" partorisce profonde sofferenze, tra le pieghe dei suoi "buoni sentimenti" ...

 

 

Esiste un tribunale,

di nome ha maggioranza,

solerte e silenzioso

si inchina e poi si impegna.

 

Si indigna come un toro

che vede il drappo rosso

si sente minacciato

dalla "diversità".

 

È l'eco della folla

che nome ha maggioranza

che mai e poi mai discute

la sua "normalità".

 

La succhia con il latte

dei probi cittadini

che tracciano confini

e scrutan chi non va.

 

Attenti, attenti...

 

Siam cruda maggioranza

dai denti assai taglienti

gli orecchi tesi e attenti

sulla "diversità".

 

E quando ci accorgiamo

di chi non è conforme

sentiamo un ribollire

che brucia e ci confonde.

 

Un guizzo dentro agli occhi

e scatta la parola

tagliente come spada

che squarcia e non consola.

 

Recinti trasparenti

per ogni mela marcia

e fuori dalla cerchia

della comunità.

 

Noi siamo gente a posto

dalle mille certezze

pagato abbiam le decime

fatta la carità.

 

Noi siamo i baluardi

di tradizioni certe

farfalle non fioriscono

finché noi siamo qua.

 

Noi siam la garanzia

per ogni mondo sano

ma è tolleranza zero

per chi è da noi lontano.

 


 

Certo, certo...

 

La vostra prepotenza

non giunge ai tribunali

imputati non ci sono

per la vostra crudeltà.

 

Se siete voi la legge

nessuno chiede conto

e il pianto non vi tocca

non scatta la pietà.

 

Essere maggioranza

è certa garanzia

le botti son di ferro

e piena è impunità.

 

Ma il vostro mondo tondo

non vede che la vita

va oltre ogni confine

il nome TOLLERANZA

cognome è LIBERTÀ.

 

Luciano Galassi

(22 novembre 2013)

 

Per ogni fiore che è stato reciso

dal mondo è scomparso

un profumo e un sorriso.

E se poi ti chiedi il senso che ha …

è solo il trionfo della “normalità”.

 


MUSERUOLE SENZ'ANIMA, PER L'ANIMA

 

La pressione, che a volte diviene violenza, alla normalizzazione, all'essere fotocopie omologate uno dell'altro, corisponde ad una seria patologia sociale, con prognosi assai incerta.

C'è chi si crede padrone della vita altrui e vuole gli altri "normali" ad ogni costo, con le buone o con le cattive.

Ma ciò che sfugge al controllo della "normalità" è tutto ciò che fiorisce oltre i territori previsti, in maniera spontanea e selvaggia, ricca e vitale, libera e creativa.

 

La bellezza, la sacralità di ciò che si è.

Il diritto di essere per come si è, e per il mondo che si porta dentro.

 

 

Com'è che abbiamo perso il senso del mistero di ogni vita, stemperandolo nella banalità e nell'omologazione ?

Dove abbiamo attinto una così grande miseria e stupidità ?

 

(Due invocazioni e un atto d'accusa)

 

Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste

gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.

Dell'inumano varcando

il confine
conoscemmo anzitempo

la carogna
che ad ogni ambìto sogno mette fine:
che la pietà

non vi sia di vergogna.

Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi

e le mani sudate
coi cuori a forma

di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.

Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo

la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà

non vi rimanga in tasca.

Giudici eletti,

uomini di legge
noi che danziam

nei vostri sogni ancora
siamo l'umano

desolato gregge
di chi morì

con il nodo alla gola.
 

 

 

 

Quanti innocenti

all'orrenda agonia
votaste decidendone

la sorte
e quanto giusta

pensate che sia
una sentenza

che decreta morte?

Uomini
cui pietà

non convien sempre
male accettando

il destino comune,
andate, nelle sere

di novembre,
a spiar delle stelle

al fioco lume,
la morte e il vento,

in mezzo ai camposanti,
muover le tombe

e metterle vicine
come fossero

tessere giganti
di un domino

che non avrà mai fine.

Uomini,

poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà

giammai avuto
e non diventi rantolo

il respiro:
sappiate che la morte

vi sorveglia
gioir nei prati

o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo

per la falce.

 

Fabrizio De André