IL DENUDATO COLLE (dai solitari "esperti")
L'Infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. …
È particolarmente viva in me l'idea che il viaggiatore che si appresti ad una visita al Colle de "L'Infinito", possa e gradisca sentir risuonare dentro di sé le parole che Leopardi dedicò al "suo" Colle, e che hanno fatto il giro del mondo e hanno avuto una larghissima eco, tanto che la sola parola "Colle" può facilmente rimandare a Leopardi e a Recanati.
Così si fa un'immensa fatica a comprendere il senso di un Colle che, nella recente "rivisitazione", è stato "denudato", con ciò tradendo, almeno nella mia lettura, il senso e le attese legati al luogo e alla celebre poesia.
"Rispondere" a quelle parole poetiche - specialmente connotate per l'interiorità e l'immaginazione, per la “vista” che "la siepe" favorisce - con l'eliminazione quasi totale di ogni elemento che nasconda, veli e conduca dentro di sé, nell’intimità, a me sembra il riflesso di una probabile incomprensione e di un "tradimento" del portato leopardiano, a solo vantaggio della spettacolarizzazione e dell'avvilente superficialità.
Si mostra, si ostenta, anziché suggerire, accompagnare, lasciar sognare.
Una realtà resa unica per tutti - nel mentre tutto è disvelato e scompare ogni traccia di mistero - piuttosto che volta a favorire e sollecitare la multiforme varietà delle sensibilità individuali.
Un luogo sacro all'Anima
Il Colle è stato particolarmente "segnato" dalla sensibilità leopardiana, la cui ispirazione poetica ha prodotto una speciale "alchimia", trasformando quel Colle, prima anonimo, in un luogo sacro all'Anima, che credo andrebbe rispettato e mantenuto secondo quella caratterizzazione. E’ un luogo dove, per le persone sensibili, l'Anima può trovare spazio, accoglienza e voce. A questa visione si addicono la discrezione, il silenzio e l’intimità, piuttosto che l'ostentazione e gli “effetti speciali”.
Credo non dovrebbe essere il Colle, di per sé, l’elemento centrale, bensì “l’eco” che lì si è depositato e materializzato, e che richiede, per essere colto, sensi diversi dal solo sguardo.
Il Colle sembra essere stato, per Leopardi, uno degli osservatori privilegiati sulla sua interiorità, ma noi tendiamo a fare un monumento “al dito che ci indica la luna”, lo lucidiamo ben bene, dimenticando la luna. E Leopardi è un faro vivo, un esploratore, un tracciatore di piste, una finestra spalancata, e non un quadro statico appeso alla parete.
Concludo, in maniera emblematica, con l'immagine di alcune panchine, in precedenza orientate verso l'interno del Colle, favorendo il raccoglimento, e ora verso l'esterno, realizzando un radicale mutamento di prospettiva.
Trovarsi nell'ambito del "Colle" con la faccia rivolta alla parte opposta, è quasi un "sacrilegio"... o no ?
E' uscire "dall'orbita". Restare "nell'ambito" è un dato centrale affinché qualcosa "lieviti", e forse una maniera di rendere omaggio a Giacomo, di sostare accanto a lui, dove respirava (respira?) la sua anima.
Dov'è diretto lo sguardo dei ri-modellatori ? Hanno mai "frequentato" Leopardi ?
Quello non è un giardino o un parco qualunque e anonimo, dove è specialmente rilevante il solo aspetto estetico-funzionale… ma forse ce ne siamo dimenticati.
Del resto Leopardi appartiene a tutti, e non ad un manipolo di esperti, politici, professori e tecnici, che operano “per il popolo” – a propria immagine e somiglianza – e che vogliono stupirlo con la loro “bravura”.
Il risultato è che il Colle ha perso ogni spazio di intimità e ha ridotto la sua “magia”, ha perso, tristemente, la sua “voce”.
Forse il Colle - ora solo ameno - parla adesso solo di noi, della superficialità, della fretta, della smania di cose da consumare, da fotografare e “postare”, senza che niente raggiunga veramente la nostra intimità. E se non c’è più niente che vediamo veramente, è forse perché siamo diventati estranei a noi stessi, e non percepiamo più alcun “mare” in cui, infine, dolcemente “naufragare”.
Scusaci, Giacomo, se non sappiamo più volare, sulla scia della tua poesia... per troppa intelligenza, cecità o "modernità".
Tuttavia, qualcosa resta e seguita a parlare...
Luciano Galassi
(maggio 2018)
P.S. del 10 luglio 2018
Presso il Colle de "L'infinito" è probabile che ci si relazioni con l'immaginazione di Leopardi, che si sia sollecitati a percorrere la strada solitaria che si è sedimentata nelle sue parole, a sognare accanto a lui, in un privilegiato dono.
Leopardi ci offre il suo sguardo che si abbevera alle profondità, e ci fa attingere per un istante al suo pozzo incantato. Le sue parole ci allontanano dalla frenesia quotidiana e ci riportano al nostro alveo interiore, al magico e gradito "naufragare".
Il paesaggio esterno si vela, e lo sguardo diviene tutto interiore...
P.S. del 24 marzo 2019
Credo sia sempre in agguato il rischio di realizzare un monumento al dito che indica la luna...
Il "nuovo" Colle... di una discutibile "accoglienza"...
(o stazione delle corriere?)...
Il Colle aveva proprio bisogno di una "reception" ?
Non bastava a sé stesso ?
Non basta essere stato (e magari esserlo ancora) luogo di una ispirazione che ha fatto il giro del mondo e ha aperto un orizzonte interiore ?
E se proprio si doveva intervenire, perché farlo in quella maniera ? Perché aggiungere delle "parti nuove", ispirate a chissà quali altre suggestioni, del tutto estranee al luogo ?
Conservare o trasformare ?
Metallo, vetro...
Ma Recanati ha una sua impronta forte, legata al mattone, al calore del suo colore.
Perchè allontanarsene ?
Perché operare un distacco ? Si deve per forza stupire con "effetti speciali" ?
Non stiamo entrando, per esempio, nella sala di attesa di un aeroporto o in una stazione delle corriere, bensì in un luogo speciale, forse un "santuario", una "officina" dell'Anima.
E Recanati offre già alcuni spunti...
Dov'è finito il "Mistero" del "Colle" ?
Che ce ne facciamo di un Colle tra i tanti ?
Il punto non è di cercare di renderlo "più bello"...
Assistiamo al credere di potersi o doversi "impossessare" di un luogo, e non riuscire a fare a meno di metterlo "in scatola" o "a posto", come se ne avessimo diritto...
E' questo custodire ?
E gli "esperti" forse dovrebbero riprendere seriamente a "studiare"... abbandonando ogni presunzione di "abbellire" o stupire. Il valore della loro "presenza", forse si dovrebbe valutare dalla loro impercettibile "trasparenza", dal non voler "lasciare il segno"...
(25.7.2019)
Un Colle, come un piccolo-grande osservatorio sull'interiorità, come un rintanarsi per scoprire la luce, liberi da schemi, privilegiando la "visione" e un anelito irresistibile.
Prendere il volo per incontrare la propria anima, in tutta la sua leggera gravità.
Giacomo, maestro ZEN.
Un sogno di libertà. Un'anima che è sempre "oltre", al di là dei confini e degli obblighi.
Uno sguardo interiore, immenso nella sua autonomia, autonomia che è invece spesso vigilato speciale, perché si faccia di noi ciò che vogliono gli altri.
Giacomo scende nel suo magma ribollente e trova la sua perla, il suo istante d'infinito, ed ha la delicatezza di mostrarla al nostro sguardo, ce ne fa dono.
(11.8.2019)