LA CASA DOVE SONO VENUTO AL MONDO

 

Quella casa è come un'isola nel mondo, la mia àncora, la mia piccola luce nell'universo.

La luce a cui fare ritorno, attorno a cui orbitare felicemente.

Un piccolo esploratore, un principe che abita una casa povera, come fosse una reggia, il suo castello incantato.

Corri, giochi, scopri, assapori, guardi... e torni a casa.

Sono tutte scoperte affascinanti, proprio perché senza confronti.

La tua reggia come un prolungamento di te, spazi, momenti, incontri, persone che sono pezzetti della tua casa.

Tutto appaga perché non sai sognare un altro orizzonte, e quello va benissimo, non gli manca niente.

E ogni piccola cosa che si aggiunge è come l'apparire di una stella, che abbracci, che stringi con viva passione, un mattoncino della casa interiore che stai costruendo.

Ti senti ricco del sorriso che ti si materializza dentro, della serenità che ti culla, che avvolge i tuoi giochi e che ti accompagna nel sonno a cui, stanco, ti abbandoni.

Ciò che non ti piace, lo cataloghi subito e, se puoi, lo eviti accuratamente.

Attorno alla casa arrivano il giorno e la notte, il sole e la luna, la pioggia e il vento, la neve e gli uccellini, un gregge con gli agnelli.

"Dal nulla" arriva un triciclo rosso, che allarga la tua gioia, che dona allegria alle gambe.

Tutto sorprende e sa di apparizione, come un'onda che ti raggiunge.

Ogni giorno un pezzetto, un viso, un sapore.

Le cose accadono, una alla volta, e scopri altre case, quella dei nonni, che aggiungi ai tuoi confini, e le altre, che restano un po' più lontane.

Ma è la tua casa dove tu ti senti a casa, dove puoi pronunciare parole che il luogo sembra custodire, parole che non diresti altrove. Anche le parole prendono corpo e hanno bisogno di uno spazio amico, per essere dette. Lì puoi dire le tue parole al cielo e alla terra, come semi che pianti e nutri.

Parole che puoi ritrovare il giorno appresso, come un dialogo appena interrotto, come qualcosa a cui stai dando forma e sostanza.

È come scavare confini profondi, mettere radici.

Parole dette a nessuno e dette, insieme, al tutto. Parole vive, che hanno corpo, che ti accompagnano.

È il luogo che ha visto e udito le tue parole, e le conserva gelosamente.

Un luogo che ti ascolta e ti sorride. Che diventa tuo proprio per averti ascoltato. Che sembra farti spazio, che si stringe un po' per accoglierti, che ama la tua voce, la tua presenza e ti aggiunge al piccolo elenco degli ospitati lì.

Sembra nutrirsene, di quelle presenze, e forse ama soprattutto quelle dei bambini, così leggere e vere.

È preziosa quella intimità solitaria, dentro e attorno alla casa.

Sono gli spazi dove sostare con se stessi e con "l'universo", dove parlare sottovoce e illuminare il mondo.

Qualcosa di "innato".

Questo "dialogo" interiore è molto importante e direi necessario, per essere e diventare.

Dire "sacrale ", credo non sia esagerato.

E forse è sentirsi vivi e "sovrani" del mondo.

Una "occupazione" necessaria. Forse è la ricerca di un proprio posto nel mondo.

Un "dialogo" che dà forma e corpo alla propria identità, alla propria "sostanza".

Un "esercizio" di identità, autonomia e indipendenza. È mettere le proprie radici nell'esistenza, in uno spazio riservato e "fedele".

La casa è una navicella nella vita, che trova, soprattutto negli affetti, calore, sicurezza, guida.

Anche il camino era un compagno prezioso, che rendeva la casa un luogo caldo e confortevole, nel freddo dell'inverno. Le fiamme erano un compagno vivo, una presenza magica, un focolare attorno a cui ritrovarsi con piacere e senso di intimità, forse anche un collante di identità familiari.

 

La "casa" dove si viene al mondo è anche quella del proprio corpo, che risuona fedelmente al come, ai modi in cui viene trattato, nelle cure quotidiane, nei gesti d'affetto e di accoglienza, nelle parole.

Forse la stessa immagine corporea risente della qualità delle relazioni primarie.

La dolcezza, il rispetto con cui siamo trattati, saranno gli stessi con cui ci rivolgeremo a non stessi, mapperanno la nostra percezione, forse salvaguarderanno la dolcezza e il mistero del corpo.

Il tutto mi sembra filtrato dal respiro.  Un bambino respira con gli occhi, respira la vita, il mondo.

Forse il respiro e la nostra "carta di identità", un respiro sereno e in armonia, un respiro che respira con il tutto, oppure contratto, chiuso, impaurito.

La "casa" è dunque il luogo del primo farsi e costituirsi, oppure del primo manifestarsi, l'arrivo di un magico “Piccolo Principe” da universi sconosciuti.

E alla fine non resta che un sorriso, un sorriso venuto da lontano e materializzatosi qui, come una benedizione.

 

Ho dimenticato un dettaglio importante: allora camminavo a piedi scalzi, dai primi tepori della primavera, all'autunno. Oggi lo si fa quasi soltanto in spiaggia, durante le vacanze.

Camminare a piedi nudi, procura un gran senso di libertà, quasi "selvaggio".

Fa un gran bene a chi sta tentando di affondare le radici, ci si àncora meglio alla vita.

 

Abbiamo un gran bisogno di minuscole isole felici...

Nella casa dell'infanzia è facile "perdersi", è l'infanzia fatta per "perdersi", per far attecchire meglio il seme nuovo che ci accompagna.

Ci si "perde" con gioia, sognanti, si vola a mezz'aria, ignari di tutto il resto.

Ci penseranno gli uomini dalle scarpe di piombo e dal cuore di plastica a rimettere le cose a posto, con la disciplina, il dovere, i divieti, la paura, i ricatti, e se non bastasse, la violenza.

Acqua sul fuoco vivo della meraviglia.

 

Vola, bambino, pedala, pedala, sul tuo triciclo rosso !

Forse ce la puoi fare...

 

 

 

Luciano Galassi

(30 luglio 2014)


 

GLI OCCHI DI UN BAMBINO

 

Gli occhi di un bambino sono il suo pane. Ciò che vede non è là fuori, come qualcosa di estraneo, ma dentro, impastato con lui.

Gli occhi assorbono tutto e gli fanno scorgere il mondo come parte di sé.

Fuori, dentro... un'unica, splendida cosa, un'unica casa.

Gli occhi hanno da scorrere liberi, come il vento.

Sono più che vedere, sono abbracciare, accarezzare.

È come ci fosse un vuoto da colmare, dentro, e gli occhi ne sono un possibile strumento.

Occhi per volare, per volare in piena serenità.

Sono i primi a ritirarsi nella paura, come le antenne di una lumaca.

E a volte impiegano una vita a riaffacciarsi.

Forse la morte inizia dagli occhi.

La vitalità di un bambino è tutta negli occhi, perfettamente visibile e presente.

Sono la sua antenna nella realtà del suo mondo, e arriva lontano lontano, persino oltre il visibile, oltre lo sguardo.

Gli occhi, le mani, i piedi, sono gli avamposti di un bambino.

Gli occhi sono come uno stomaco sempre affamato, come un naso sempre a caccia di profumi, occhi stupiti, come davanti ad una vetrina di dolci, uno più invitante dell'altro.

E la libertà di stendere la piccola mano, come dentro ad una torta di cioccolato.

Gli occhi di un bambino sono uno specchio della sua libertà.

Un bambino che guarda è il mondo stesso che guarda, colla stessa innocenza.

Non è innocente il cielo ?

Non ci sono occhi più grandi di quelli del mondo.

Occhi che guardano e creano, con vivo entusiasmo: come se no ?

C'è una caleidoscopica sovrabbondanza di tutto.

Gli occhi dei bambini sono cieli senza confini, sono voli senza confini, una bacchetta magica per inventare il mondo.

Le occupazioni principali di un bambino sono il sorriso e il gioco.

Il gioco è un antidoto al tempo, lo fa arrestare, lo dilata, lo rende palpabile come una fetta di pan di Spagna.

Per un bambino il tempo è solo l'acqua in cui nuota, e questa volta, cogli occhi chiusi, tastando l'aria in cerca di un tesoro, come un uovo di Pasqua, con la sorpresa dentro.

È quando finisce il volo, quando si atterra, che torna il tempo, mentre tutta la gioia si è depositata negli occhi.

 

 

"PIROETTINO" è tornato tra noi...


Luciano Galassi

(3 agosto 2014)