In Ricordo di
Padre Pietro Lavini
(7.7.1927 - 9.8.2015)
Domenica 9 agosto 2015
Ci ha lasciati una grande anima, semplice e "tosta", inedita e mai assolutamente omologata.
Una casa di fronte al cielo e alla natura incontaminata.
Un'anima che sentiamo autenticamente nostra, un Maestro.
E lascia un vuoto immenso, un'impronta consegnata al nostro ricordo, alla nostra testimonianza.
Il "suo" Monastero e la sua anima: indelebilmente uniti.
È stato come l'aratro che traccia solchi profondi sulla terra arida e pietrosa, dove gettare i propri semi, da annaffiare con l'acqua e nutrire con i propri sentimenti.
Padre Pietro ha anche saputo creare un suo spazio dentro i nostri cuori, ha saputo fecondare la nostra indifferenza, ha acceso la sua fiammella dentro di noi.
Lì ha un posto sincero e speciale, dove respirano ancora le sue mani, avvezze al lavoro duro, screpolate, consumate, "santificate", e la sua schiena curva e instancabile.
E sono vivi il suo sorriso, la sua schiettezza, le sue battute "taglienti" e sincere, la sua risata dilagante, la sua "testardaggine" operosa.
E ci lascia il Silenzio incontaminato, spazio fecondo e necessario di ogni "Visitazione", e il lento gocciolare dell'acqua, sudata e preziosa compagna.
Ci lascia la Semplicità e la cristallina accoglienza del cuore.
Ci lascia la luce della notte e il sapore di una ininterrotta preghiera, culla dell'aurora radiosa e incontaminata della sua conquistata e traboccante Pace.
Grazie !
E ora, per favore, non fate confusione, non lo cercate nel “suo” Monastero… lì non c’è più nessuno (come in una nota sepoltura di tanti anni fa)…
A padre Pietro
A goccia, a goccia
è fiorito il canto del cuore,
vivo refrigerio,
fecondato dal silenzio e dall’umiltà,
fiore della pietra e dell’acqua
lungamente distillato
in leggerezza e sorriso.
Con grandi ali
e un profondo respiro
è ora spiccato il volo.
Luciano Galassi
VOLA
(ai liberi figli del Cielo)
Ed è l’invito ad essere a casa, a non smarrire la propria via.
Forse non c’è niente di più sacro,
se siamo qui, creature preziose e amate.
Ricorda, ricorda, piccolo tabernacolo della vita,
ricordati del tuo sorriso, libero e festoso,
ricordati del tuo canto.
E camminano insieme,
mano nella mano,
l’innocenza e la saggezza,
ciascuna con il suo dono.
Sorridono, guardandosi negli occhi,
i passi ogni giorno più leggeri.
Avanti, Maestro, cammina ancora un poco,
una pietra ancora, forse la più piccola di tutte,
la più leggera: mancava solo quella,
il suggello del tuo cuore gigante.
E ora, lucidate le ali,
vola libero e leggero,
come un’aquila signora del cielo,
ora sei la nostra fulgida stella.
Sai, era la metamorfosi più difficile per noi:
da Pietro, a farfalla.
Ora libero, vola sereno… incandescente scintilla di Dio.
Luciano Galassi
Fiore di libertà
(e adesso… Ciao, Pietro !)
Arido e pacifico
è il fiume delle lacrime,
inondato da un giorno di sole.
Un silenzio di farfalle che danzano.
Tacciono le parole sorridenti
nei loro intrecci odorosi.
Finita è ogni pena ormai,
tutto è compiuto.
E’ la parola che prende forma in noi,
pennello di vero autore.
Quali sono le tue parole ?
Quale la tua originalità ?
Quale la tua autentica essenza ?
E’ sbocciata la tua vera gioia ?
E’ stata rispettata la tua gioia ?
Cantala, la tua gioia senza confini !
Luciano Galassi
(11 agosto 2015)
Le multiformi strade dell'onorare il Mistero
A volte si ha fretta, molta, troppa, di "seppellire".
Si onora - così si dice - e, contemporaneamente, si "sterilizza", si riporta tutto al noto, al "certo", alla tradizione, e si finisce per non comprendere la diversità, la sua ricchezza, il dono particolare, forse unico.
Si perde o si respinge la multiformità.
Quella di padre Pietro è l'espressione di una enorme fatica, o il segno di una traboccante e contagiosa gioia, di un "innamoramento" che ha pochi uguali ?
Non c'è dato di immergerci nell'anima di un'altra persona, ma parlano i suoi gesti, le sue scelte e, soprattutto, parlano alla nostra anima, che, se non deviata, sa comprendere, sente ciò che accade.
E “risponde”, senza ingannarsi.
Possono ingannare le parole, non le testimonianze.
Qualcosa di autenticamente grande e prezioso, deve aver animato padre Pietro, tanto da spingerlo a dedicargli quasi una vita intera.
Sicuramente un "rapimento", una sana follia.
Forse il tentativo di esprimere, con i fatti, con l'impegno delle sue mani, un gigantesco "Grazie !", diluito in anni di quotidiano impegno.
"Ti onoro come so, come posso, come sento. Ti onoro senza riserve o calcoli. Ti onoro fino al mio ultimo respiro".
A volte, dove non giunge la ragione, trabocca, per fortuna, il cuore, provvido e più affidabile consigliere.
E ci lascia senza parole, ubriachi di incanto, o magari di "Antisismico", il liquore d'erbe, fatto in casa, che padre Pietro generosamente offriva, come un elisir o un "promemoria".
La ragione ha molte meno possibilità del "rapimento", è più angusta, calcolatrice, "prudente", ha poco slancio. Porta sempre con sé un piccolo metro, con cui valuta gli altri, le loro scelte, il loro operato, che tenta sempre di ricondurre al noto, al consueto, all'ordinario.
Serve poco quando si ha l'avventura di incontrare chi è "fuori misura": allora, o si mette da parte il metro, oppure si è costretti a "mutilare" il malcapitato.
Pessima operazione, pessimo servizio alla nostra intelligenza e alla possibilità di allargare gli orizzonti.
"Troppo rapimento", sarebbe una devastante e stupida etichetta.
Forse è più utile domandare: "Che ti succede, fratello ? Da dove ti giunge tutto questo invidiabile slancio ?"
Forse è perché non capiamo, che vorremmo l'altro più vicino a noi, alle nostre scelte, più prudente, più "normale".
Forse sarebbe invece più saggio lasciarci contagiare, tentare di vivere dall'interno quella "follia".
Magari il "fratello" potrebbe chiederci: "E tu, cosa ha spento la tua gioia ? Dov'è finito il bambino che eri ? Che cosa ha ferito il tuo cuore ? Dove hai smarrito il tuo slancio più autentico ?"
Siamo noi i pompieri della gioia, che hanno fretta di assomigliare a tutti gli altri e cedono il loro autentico tesoro per pochi spiccioli o per un piatto di banali lenticchie.
E poi, bisogna avere il coraggio di "perdere tutto", di non avere sguardi che per il proprio tesoro e la sua guida. "Perdere tutto", per guadagnare tutto.
Che padre Pietro avesse "perso tutto", è testimoniato dalla sua gioia, contagiosa, inarrestabile e "irragionevole", una gioia "maestra", "innocente".
"Non so" - dovremmo avere il coraggio di dire - "non so cosa vibra nella sua anima, ma non può che essere qualcosa di speciale, che tocca, affascina".
Ecco un uomo veramente libero, ecco cosa può essere un uomo.
Spiegare può anche "uccidere".
La sua strada è la più facile e la più difficile, forse la meno frequentata.
Pietro ne è stato testimonianza viva, faro controcorrente.
Lui ha vissuto nella magica semplicità degli autentici e incorruttibili figli di Dio.
Vivendo, ha anche aperto una strada per tutti noi, affinché azzardiamo il mistero dei nostri autentici passi.
Una strada colma di inarrestabile e gioiosa libertà.
La gioia è stata qui, ha dimorato, schiva, su una solitaria montagna, ci ha fatto il dono incommensurabile della sua presenza.
Che cosa ci resta, se perdiamo la fecondità della gioia, se si spegne la sua sacra scintilla dentro di noi ?
Luciano Galassi
(12 agosto 2015)
L'anima viva delle cose
Di ciò che forse nessun altro avrebbe scelto, padre Pietro ha fatto la sua ragione di vita, qualcosa che altri avrebbero sicuramente scartato di getto.
Una strada da pochissimi desiderata, eppure, oggi, alla luce dei fatti, da molti apprezzata.
Ma più che una scelta "eroica", è stata una scelta di significato, di senso profondo.
Non una strada "del mondo", ma una scartata dal "mondo".
Una strada tutta in salita, e che non dà diritto a nessun "Guinnes dei primati".
Evidentemente padre Pietro non era tipo adatto per le strade comode.
E quell'opera di ricostruzione aveva bisogno di una persona "speciale", di qualcuno disposto ad accogliere un'impresa "impossibile" e a restargli fedele per una vita intera.
Così si potrebbe azzardare che "le cose" hanno voce, anima, che emettono, con insistenza, un "richiamo", che forse qualcuno ha il coraggio e la disponibilità di accogliere.
Una grande impresa per un grande uomo, e viceversa.
"Cose" e uomini, esistenze intrecciate, in un mondo vivo, "denso", fecondo, dove si fiorisce insieme, dove si ha cura reciproca (o, drammaticamente, indifferenza) .
Un "matrimonio" denso di risonanze.
Oggi si ha l'impressione che non ci siano troppi uomini "in ascolto"... e così si fa drammatica la sofferenza del mondo, delle cose, della Terra.
La “inusualità” dell’opera di padre Pietro chiede, con urgenza, nuove letture, nuovi significati, non si accontenta di spiegazioni legate al passato, alla “tradizione”. Non bastano i riferimenti a ciò che conosciamo già, non si tratta di una “ripetizione”. “Ripetere” è mancare il bersaglio, servire obiettivi “superati”.
Padre Pietro “ha risposto”, ha trovato la sua via …
Luciano Galassi
(settembre 2015)
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Muratore e giullare di Dio
Un frate tosto
un frate giullare
salito sui monti
per meglio sognare.
Frollino e scalpello
pietre e cemento
col sole e col vento
con la pioggia e la neve.
Preghiera e lavoro
sorriso argentino
la casa di Dio
e un bicchiere di vino.
Un cammino in salita
con la gioia nel cuore
e la speranza mai spenta
di un uomo migliore.
Un piccolo uomo
diventato gigante
dal sorriso accogliente
e lo sguardo… alle stelle.
Luciano Galassi
(6 aprile 2015)
Il sogno avverato di p. Pietro Lavini |
Chiamato da una “Forza misteriosa”, che ripeteva anche a lui – come fu per San Francesco e la chiesa di S. Damiano - “Va e ripara la mia casa cadente”, p. Pietro iniziò, il 24 maggio 1971, la ricostruzione del convento e della chiesa dedicati a S. Leonardo, proprio sopra la gola dell’Infernaccio (anticamente chiamata Golubro), nel massiccio dei monti Sibillini.
P. Pietro ha raccontato nel libro intitolato “Lassù sui monti…” (che sono anche le parole con cui inizia una poesia del Dottor Ermanno Traini, dell’ospedale di Fermo, dedicata all’impresa di p. Pietro) la storia del convento di San Leonardo e della sua opera di ricostruzione, “…un’impresa umanamente impossibile, avendo a sua disposizione soltanto due mezzi: un saio, simbolo della povertà ed una croce, simbolo della fede”.
Quella di p. Pietro è un’impresa degna di rilievo e di rispetto, ed assume una grande valore, sia per i credenti che per i non credenti.
Dopo alcune visite a p. Pietro, diluite nel tempo, ho sentito la necessità di mettere per iscritto le forti impressioni e sollecitazioni scaturite dalla sua impresa solitaria (ma alla quale si sono affiancate anche tante persone di buona volontà).
La prima considerazione, la più semplice, è che è proprio la collocazione della chiesa in un luogo che si raggiunge con impegno e sudore, posto com’è tra le montagne, a fare dell’opera di p. Pietro un fatto speciale.
Se il convento e la chiesa si fossero trovati, per esempio, a Montefortino o a Pedaso, la risonanza sarebbe stata ben diversa.
Chi percorre la gola dell’Infernaccio, si rende chiaramente conto di cosa significa arrivare a piedi a San Leonardo (anche se la galleria e il trattorino sono stati un piccolo-grande sollievo alla fatica) e cosa possa essere stato portare a spalla i materiali necessari (ma persino un elicottero, mi risulta, trasportò lassù delle travi).
Un frate cappuccino, che i suoi superiori avevano valutato “buono” per le montagne d’Ascoli, ha avuto il coraggio, la tenacia, la fede necessari per questa impresa.
Ma anche diverso sarebbe stato l’impatto nell’animo della gente – giacché quello di p. Pietro, oltre ad essere un omaggio al Creatore, è anche un messaggio diretto a noi tutti – se avesse ricostruito un’abitazione privata, con tanto di recinto, o un rifugio: sarebbe stato solamente un oggetto di curiosità, o poco più.
E’ proprio l’essere San Leonardo un luogo dedicato allo Spirito, al Creatore, che lo rende speciale.
Non un luogo che serve al semplice riparo o al commercio, bensì un luogo di raccoglimento, di preghiera, di incontro con Dio e con un sacerdote, che vive lì il suo ministero, che lì accoglie chi ha necessità di ritrovare il senso di un cammino difficile, alla luce della fede.
Un impegno che dura da più di un quarantennio e durante il quale la vita e la storia di p. Pietro si sono fuse, indissolubilmente, con la sua opera, offrendocene uno stupendo esempio: “interno” ed “esterno” confluiscono, si nutrono vicendevolmente.
Un’opera durissima, sofferta, che ci insegna anche il valore dell’impegno, del sacrificio, delle energie investite in un’impresa fuori dal comune, un’impresa che è testimonianza resa all’umanità – giacché travalica i confini locali ed è capace di parlare all’universo degli uomini - , e che trova il più lampante riscontro negli occhi luminosi, nel sorriso e nella vitalità di quest’uomo, che ha messo in gioco la sua esistenza per un progetto d’amore, di dedizione, di sacralità, traendo da ciò la sua percepibile ricompensa.
Una dimensione che attiene allo Spirito è quella della gratuità.
Qui è precluso ogni calcolo, ogni valutazione costi-benefici e la “ricompensa” non è nel denaro, ma nella gioia e pienezza di senso di chi scopre e vive la sua dimensione creaturale, inserita non in un mondo freddo e inospitale, bensì pregno di generosità e di grazia “paterne”, “materne”.
Non è Dio ad avere necessità di templi, siamo noi che abbiamo bisogno del suo sguardo provvido e benedicente, siamo noi a sentire la necessità di aprirci all’invocazione, di scoprirci parte di un Mistero amorevole. Scoperta che passa sovente per il buio, per la notte dello spirito, per il dolore, come un travaglio che prelude alla nascita di un nuovo essere.
A noi è dato solo “inginocchiarci”, riconoscere la nostra finitezza e fragilità e imparare ad affidarci al Mistero: solo così, in mezzo al buio, potremo forse scoprire la lucentezza di una “pagliuzza d’oro”, che diventerà la nostra ricchezza più grande.
Forse ci sarà un caldo sorriso ad attenderci.
Quella dell’abbandono è una strada sovente difficile, tormentata, ma forse bisognerebbe avere la “bontà” di credere che non si tratti, sempre e necessariamente, di orgoglio: spesso è la conseguenza di una ferita infertaci e “incistata” nell’anima, a mutilare in noi la fiducia, a renderci muti come tombe, ad impedirci di aprire il cuore ed espanderci gioiosamente.
Ritrovare la strada della fiducia è impresa titanica, dolorosa, dagli esiti incerti.
P. Pietro ci dice di essere stato chiamato a ricostruire l’antica chiesa, ma anche alla ricostruzione spirituale degli uomini che si rivolgono a lui nel bisogno.
E lui ci parla, soprattutto, con la sua opera, dimostrandoci la possibilità di ricostruire un “ponte” tra uomo e Dio, pur attraversando condizioni proibitive, e lanciando un messaggio di Speranza, di Fiducia.
San Leonardo è diventato il suo altare, il suo luogo di preghiera: segno prezioso per noi tutti.
Quella di p. Pietro è una strada ed una testimonianza, di fronte alle quali chinare il capo in segno di rispetto, onore e riconoscenza.
La comunità tutta non può che essere grata a quest’uomo per la sua fede, il suo esempio e il suo sacrificio gioioso.
Luciano Galassi
Che cosa splende "Lassù sui monti" ?
Non solo un edificio di pietre, lassù splende l'anima di un uomo, il suo slancio, il suo anelito, il suo rendere omaggio allo Spirito creatore.
E splende il suo rapimento, l'aver messo da parte ogni calcolo, l'aver trasformato la propria esistenza in canto, in celebrazione.
E' un esempio.
Ma non perché si parta a ricostruire chiese diroccate.
C'è un mondo interiore che è cadente, diroccato, abbandonato.
Il tempio diroccato è anche quello della nostra anima, dove non si celebra più, dove non c'è slancio, profondità, senso.
Dove non c'è riconoscenza, canto, rapimento, gioia, contemplazione.
Un "tempio" che non ospita più lo "Spirito":
Ci sono tanti "santuari" interiori diroccati, da ricostruire, di cui siamo custodi e responsabili.
Luciano Galassi
UN RIVERBERO VIVO
Io credo si possa dire che l'opera di p. Pietro, piena di sincera passione e totale dedizione, si riverberi, come una calda presenza, in San Leonardo e in tutto l'Infernaccio.
E' come se p. Pietro avesse profondamente umanizzato quei luoghi, fecondandoli con la sua presenza e il suo progetto.
Questo dovrebbe essere un esempio e un monito, sia per i nostri, personali progetti di vita, sia per le nostre città senz'anima, dove le cose, semplicemente, si sovrappongono.
Le nostre case non trasudano più anima, anche perché non sono più il frutto del lavoro o dell'ispirazione di chi crea una dimora per il suo cammino di vita, ma di anonime e aride immobiliari, interessate solo al guadagno.
Quanto ha da insegnare p. Pietro a chi si occupa di fumosa "programmazione" e tutela territoriale e ambientale...
P. Pietro non ha tolto qualcosa a quei luoghi, non li ha devastati, ma, ispirato da una chiamata dell'anima e dello Spirito, ha aggiunto qualcosa: il suo calore, in un armonico abbraccio e rispetto per la sacralità delle cose, di sicura ispirazione e incarnazione francescane.
Lì aleggia e vibra uno spirito nuovo, il canto profondo dell'anima di un uomo, che si è indissolubilmente legato al luogo. Il canto gioioso di chi, senza alcun calcolo, ha saputo tradurre i suoi talenti in meraviglia e dono.
Se i suoi superiori avevano valutato questo frate cappuccino, “buono per le montagne d’Ascoli", credo avessero visto giusto: quelle montagne sono diventate la sua casa, il luogo della sua realizzazione.
A p. Pietro va la riconoscenza e la stima dei tanti, credenti e non, che vedono in lui un esempio, un faro.
Qui è perfetta letizia ...
Luciano Galassi
LE PIETRE CHE PREGANO
(Sfiorando il cielo)
Sensi antichi
dimenticati:
pietra su pietra
cuore su cuore
per quel di più
che va oltre
le umane necessità
e diventa preghiera e canto.
Uomini senza memoria
né riconoscenza
incapaci di edificare un segno
che stilli gratitudine.
E su una piccola montagna,
quieto e senza tempo,
arde, gentile,
un faro.
Luciano Galassi
Padre PIETRO, uomo di PACE
Padre Pietro, un uomo che ha scelto di non fare del male.
E non perché non potrebbe esserne capace: in lui non mancherebbe nulla per questo, come per ciascuno di noi.
La sua è una scelta.
Ha scelto, ha privilegiato di innaffiare i semi della Pace, come direbbe Thich Nhat Hanh, il monaco buddista.
Ha scelto di non ferire, non offendere, di edificare, di non distruggere.
Ha distillato impegno, dedizione, fatica, ha trasformato le sue mani in strumento di operosità e di significato.
Ha riedificato un tempio, come luogo della sacralità della vita.
Non ha bruciato la sua vita nella rincorsa di mete effimere, che non nutrono l'anima.
Ha scelto la roccia, le pietre (quasi il suo nome fosse stato destino), ha dato loro la parola, le ha rese umane, le ha fatte diventare segno, segnale.
Ha operato in armonia, dentro e fuori, ha aggiunto qualcosa di proprio.
Ha scavato i semi che ci fanno degni del nome di "uomo" e li ha fatti germogliare. Li ha resi manifesti a tutti noi.
Uomo di Pace.
Emblema e testimonianza di un uomo possibile, vero, sinceramente autentico.
Sembra di assistere ad una vocazione antichissima, fatta di estrema semplicità. Con le sue mani, con la sua fatica, con in suo sogno, con la sua dignità, ora pienamente realizzata, conquistata.
Un uomo di Gioia, appagato, felice, che non ha sprecato i suoi talenti.
Si è appartato per comprendere meglio la chiamata del cuore.
In umiltà e letizia, ha aperto una strada, per sé e per tutti noi, che cerchiamo con gioia la sua presenza e testimonianza, andandolo a cercare "Lassù sui monti", consapevoli di trovarvi un tesoro.
Luciano Galassi
AD UN GIOVANE, ANTICO RAGAZZO
E’ salito lassù
lontano dai rumori
per servire un sogno
che gli aveva toccato il cuore.
Qualcuno gli ha chiesto:
“Ma tu, cosa hai fatto?”.
Chiedetelo a quelli
che hanno visto in lui
un piccolo Francesco,
un lumicino sui monti ...
Il nostro augurio è che il suo faro
seguiti a guidare il cammino
di chi sa comprendere.
Luciano Galassi
NEL PROFONDO RESPIRO DELL'ANIMA
(La dimora degli uomini "feriti")
Non si va solamente a trovare padre Pietro, ma anche un "luogo" della propria interiorità. E' come se fosse proprio quella a chiamarci, a segnalarci qualcosa che ha valore, importanza per noi.
Quello è il "luogo dei feriti", dove " i santuari diroccati " vengono ricostruiti, riportati a nuova luce, al loro autentico splendore.
"Luogo" della speranza, della fiducia nella possibilità di ricostruire e risanare il "santuario" interiore, vittima di incuria, indifferenza, se non di violenza.
Tutto ciò, l'aspettativa di un "risanamento" che ci tocchi, ci riguardi, ci segnala l'assoluta preziosità di quanto si desidera ardentemente ricostruire.
Non una casa qualsiasi, ma la casa del "Signore", la casa della propria anima.
Una casa - quella di p. Pietro - ricostruita lontano dal chiasso e dove è la gente a salire. Gente "affamata", "assetata", per la quale "quella" diventa il luogo dell'esempio.
Se il cammino costa fatica, ci accompagna la gioia di andare a incontrare e rendere omaggio a chi ha saputo dare l'esempio, a chi si è fatto Maestro della "ricostruzione", ponendola al centro della propria vita.
L'opera di p. Pietro è un potentissimo richiamo, per tutti quelli "feriti" nell'anima.
E chi non lo è ?
E le ferite dell'anima hanno bisogno di rimedi sinceri, veri, profondi, che non deludano. Se il mondo, la vita ci feriscono, abbiamo assoluta necessità di una realtà diversa, che non tradisca.
Salire "Lassù sui monti", è incontrare p. Pietro e la sua "medicina", il suo farmaco potente.
Un santuario tra i monti, dove ogni pietra stilla sudore, amore e letizia.
E come d'incanto, la pace spalanca le sue braccia, nel silenzio, nella ritrovata libertà, nel profondo respiro dell'anima.
Luciano Galassi
IL CIELO DELLA LIBERTÀ
Riposta dentro l'anima, è la pietra più preziosa.
Aprendo la porta della chiesetta di san Leonardo, ho pensato: "Sto entrando nella mia casa".
Credo che non possa esserci miglior complimento per chi (p. Pietro) ha realizzato questa casa "di tutti".
E' la propria casa, aperta a tutti, alla vita, al mondo.
Una casa posta nel centro del mondo, perché al centro del cuore.
Una casa, un cuore, che insegnano la libertà dell'anima, che soffrono per le ferite, per le offese alla dignità e alla sacralità della persona e della vita.
L'aria cristallina, il vibrare delle vette, l'incontaminato cielo.
Niente che sia di meno.
Una farfalla non può che volare, libera e felice.
Qui c'è posto per chi "non ha posto", perché ritrovi il suo posto e il valore della sua anima.
Non importa aver ottenuto successo nel mondo, dal mondo ...
L'anima abita il cielo della libertà.
Qui sei ! Solamente tu, i tuoi sentimenti, la tua fragilità, il tuo bisogno di essere accolto.
Luciano Galassi
IL SAPORE DEL CAMMINO
La gratitudine è un vento gentile, che arriva dalle profondità ...
Ecco, ora si affaccia.
Ci sussurra all'orecchio, viene per aiutarci a comprendere.
Comprendere noi, gli altri. la vita.
Viene a trovarci.
Dice: "Ciò che accade ti riguarda, riguarda la vita, la tua umanità. Ti è capitata una fortuna, che puoi comprendere, se vuoi. Qualcuno ti ha indicato un'altra strada, un altro mondo, un'altra dimensione, un altro orizzonte.".
E subito arriva un fiotto di letizia, di limpida gioia.
Ecco un uomo con cui celebrare la gioia, ridere di leggerezza, rotolarsi tra le foglie autunnali.
Rido e guardo verso l'alto.
La fatica del cammino è scomparsa, come le foglie cadute.
Chissà! Anche gli alberi, spogliati dalle foglie, ridotti all''essenziale, sembrano più vicini al cielo, più diretti.
E io ?
Io salgo con loro. Fratelli, maestri.
Quante foglie a terra ! Come tanti pensieri lasciati cadere.
In questo silenzio, accompagnato dal torrente, sembrano regnare perfetta letizia e armonia.
Qui i passi hanno il sapore del cammino.
Ma guarda dietro quali esperienze un uomo, un frate, ha edificato il suo nido !
Nido leggero, seppure segnato dalla fatica.
Cos'hai da dirmi, nella tua semplicità, che altri non sanno dire ?
La tua dimora, il tuo nido, ci mettono in cammino, ci insegnano il cammino.
C'è un filo che è più profondo delle parole.
Un silenzio dolce diviene maestro, e non cessa di parlare.
L'occhio, incantato, guarda il cielo.
Mute presenze - i faggi - come cattedrali dell'infinito.
Il respiro si arresta, rapito.
Se la sacralità ha un volto, questo gli assomiglia.
Mi sento perso, in un tempo senza tempo.
Di fronte a tanti esempi di banalità e di vuoto, qui trabocca di pienezza.
Una luce accecante.
Abbiamo perduto l'uomo che celebra, che sa perdersi nell'infinito, nella grazia !
Noi ci nutriamo di cibo scadente.
Qualcosa sembra spaccarsi dentro, come un seme prezioso nella terra.
Altre strade, altri orizzonti ...
Ed eccolo lì, il sogno. Realtà e traccia, segno.
E gronda semplicità.
Lì, proprio sulla soglia, sei consegnato al tuo cammino, al tuo tesoro abbozzato, alla tua voce, voce dell'unica Voce.
La fiammella, a lungo nutrita, ha partorito il tuo lumicino, la sorgente gorgoglia della nuova vita.
Il sogno si nutre di piccoli passi, tutti importanti, fino all'ultimo respiro, fino all'ultimo canto.
E' al nostro sogno che siamo chiamati, al nostro magico e misterioso cammino ...
Luciano Galassi
LA NUOVA CAMPANA DEL MONASTERO DI SAN LEONARDO
Mercoledì, 28 novembre 2007, con l'aiuto di una magnifica giornata di sole, è stata posta a dimora la nuova campana del monastero di San Leonardo. La campana, in Sol, pesa circa 6 quintali ed è stata realizzata dalla pontificia fonderia Marinelli di Agnone (IS).
La campana - in precedenza trasportata con un elicottero dei Vigili del Fuoco, fino ai 1128 metri di san Leonardo - è stata installata personalmente da Pasquale Marinelli e dal suo collaboratore Vittorio.
Sulla campana, oltre a motivi floreali, angeli e putti, è stato riportata la figura di San Leonardo e la facciata del monastero, con anche la rappresentazione di Padre Pietro.
Due le frasi che Padre Pietro ha voluto impresse sulla campana:
"Il suono melodioso di questa campana possa raggiungere i confini più lontani della Terra e riportare a tutti gli uomini il divino messaggio: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato".
"Troppo odiammo e sofferimmo. Amate"
(da "Il canto dell'amore" di Giosuè Carducci)
Luciano Galassi
PREGHIERA DEGLI OPPRESSI ( di P. Pietro Lavini)
Misero, oppresso, col cuore affranto, o Dio Signore la voce e il pianto.
Forza e conforto chiedo Signore, onde lenire il mio dolore.
O Dio pietoso non abbandonarmi, sei tu la roccia, vieni a salvarmi.
Nel mio cammino guidami Signore, Tu solo sei mio bene, l'unico mio amore.
O Dio Signore, O Dio Signore, la prece e il pianto, la prece e il pianto.
NELL'INCONTAMINATO ...
Che cosa respira tra le cime dei monti
nell’incontaminato silenzio ?
Lassù, puoi portarci il cuore,
volare sulle ali del vento
e sognare qualcosa
che è ancora più su,
fin dove arriva
lo slancio dell’anima.
Fiorisce nell’anima
il respiro del vento,
germoglia il silenzio
mentre la nebbia e la neve
velano il Mistero.
Leggera ti sento volare,
anima mia,
Arriva la notte a rapire il Mistero,
nella incontaminata
innocenza dei monti.
Luciano Galassi
Ci sono significati che ci sfuggono lungo il cammino, come se si costruisse senza un disegno o un progetto, come se solo il significato sapesse di se stesso e guidasse i nostri passi, le nostre mani, distillando le nostre energie.
Convinti di edificare qualcosa che ci sembra chiaro e preciso, rischiamo di non vedere che forse il progetto riguardava proprio noi, che era quella l'opera, il santuario filato d'oro, che lavoravamo a rendere più limpida e santa la luce.
Era l'uomo il capolavoro da realizzare, da levigare infinitamente sulla pietra operosa del vivere, in un limpido afflato di santità.
Il sorriso raccoglie, come in un alambicco, la sacralità della luce.
Luciano Galassi
e ANCORA …
Infine si pone la necessità di una sospensione del giudizio.
Ci si trova di fronte a qualcosa che è fuori dai canoni consueti, dai comportamenti che conosciamo e condividiamo, e che hanno obiettivi differenti, pratici, che ruotano attorno alle proprie necessità e ai modelli collettivi.
Ecco un uomo che segue altri criteri e che non può essere guardato con i “filtri” di cui disponiamo per la “normalità”.
Se è giusto, ad un certo punto del cammino verso l’altro, arrestarsi, lo è, a maggior ragione, in realtà “estreme”, come questa.
Forse è giusto consentire margini di inconoscibilità, di mistero, forse è giusto affidarsi alle parole del silenzio, lasciare aperte altre vie, consentire che si riverberino nelle profondità del cuore e lasciare che, come semi fecondi, lì attecchiscano e germoglino.
Infine… solo il rumore del vento, il silenzio … nell’incontaminata innocenza dei monti.
Luciano Galassi
(luglio 2014)
COME UNA PIUMA
Padre Pietro ha filtrato attentamente il mondo attraverso le pietre del "suo" monastero, come una lente molata a dovere.
Forse l'ha conosciuto meglio, gli si è rivelato con migliore verità.
Una pietra, e un pezzetto di luce, un colpo di scalpello, e un raggio di sole.
Forse ha ripulito il suo sguardo tagliando le pietre, cementandole.
Forse si è fatto via via più leggero, lasciando solo l'essenziale, quello che merita riguardo.
Forse credeva di costruire qualcosa di pesante, che si è invece rivelato di inaspettata leggerezza.
Ha costruito qualcosa di solido per volare, per far diventare il cuore leggero come una piuma.
E allora noi guardiamo attraverso le "sue" pietre, che sono diventate un osservatorio trasparente per guardare "al di là", per guardarsi dentro.
Pietre che nutrono, che pulsano come un cuore vivo, che parlano, che respirano.
Pietre diventate canto, sguardo, preghiera, spogliate di tutto ciò che non è necessario, che appesantisce.
Infine, solo un limpido raggio di luce sui suoi amati monti...
Luciano Galassi
(30 luglio 2014)
E' delle aquile, scegliere di spiccare il volo ... lassù sui monti.
ATTRAVERSANDO L’INFERNACCIO …
Attraversando l'Infernaccio
Si va in montagna convinti di vedere e ammirare, semplicemente, dei luoghi suggestivi, rocce, alberi, torrenti, fiori, paesaggi, ecc. e si scopre qualcos’altro.
Passare attraverso la gola dell'Infernaccio è come varcare una soglia, come passare per uno spazio magico.
Quella gola è come un trasmutatore.
Succede qualcosa di intenso, di profondo, se si è attenti.
Non saprei dire come accada ma, secondo la mia esperienza, quella è la caratteristica dell'Infernaccio.
Forse ogni gola o forra ne ha una, sua propria.
Si attraversa e mentre si è avvolti, rapiti dalle rocce, dal rumore dell'acqua, qualcosa sembra "strizzarci".
E come se l'emotività subisse una amplificazione, si acuisse e si venisse trasportati verso un punto in cui qualcosa cede dentro di noi, si libera, si scioglie, magari affiora il pianto, e l'orizzonte interiore sembra schiarirsi, come il cielo dopo un temporale, quando riaffiora il sole e si fa più leggero il respiro.
E’ forse l’incontro con la forza del luogo, con la sua anima profonda, a donare momenti così intensi.
Interessante è anche il nome che è stato dato a quella gola: Infernaccio, appunto (anticamente era detta Golubro, dal latino "Gula", ossia Gola e "Lubricum", che significa scivoloso e impenetrabile ).
Un luogo che "brucia", che porta ad ebollizione il mondo interiore, fino a farlo evaporare e rinnovare.
Le poesie che presento di seguito, sono il "parto" dell'Infernaccio, il suo regalo prezioso e imprevedibile.
Luciano Galassi
DIVINA MADRE CREATRICE
Madre dei cieli antichi,
regina delle stelle.
Madre del santo amore,
sorgente della vita.
Tue le tue creature,
figli diletti e santi,
preziosi testimoni.
Acqua, viva sorgente,
lacrime del tuo amore,
dona la tua speranza,
facci fiorire il cuore,
apri le nostre menti
alla tua perenne voce.
Madre del nostro amore,
del nostro azzurro sogno,
splendi e risplendi eterna
sopra le nostre vite.
Madre di incanto e pace,
cristallo di viva luce,
nella tua presenza tace
ogni timore e affanno.
Nulla mi mancherà,
splendente e materno sguardo,
e l’acqua che nutre il sangue
ristora la mia ansia e il pianto.
Rapito dal tuo silenzio
nutro il mio vivo canto.
Alberi son felici
del tuo prezioso manto,
neve leggera e dolce…
al coro si unisce un canto.
Luciano Galassi
ATTRAVERSANDO L’INFERNACCIO
(a noi, immemori …)
Con amore e con rispetto
camminerò vicino alle sorgenti
e al loro misterioso silenzio.
Senza parole prende forma la vita,
nel fragore delle cascate,
nello zampillare dell’acqua.
Una grazia sovrabbondante
sgorga dalle rocce,
lontana dal cemento
che tutto isterilisce.
Con commozione e con rispetto
accolgo il dono della vita
e mi abbandono a quest’abbraccio
come un ritorno alla mia dimora.
Con tremore,
ed ogni vena vibra
e riconosce e ritrova
il suo profondo Mistero.
Lento sale un grido silenzioso,
avvolto nella mia piccolezza,
e mi avvicino al pianto,
a una carezza,
a un abbraccio.
Qui mi scopro figlio.
Oltre la soglia cammino,
pellegrino umile e grato:
il Dio è uno soltanto.
E scopro la letizia
di appartenere al Mistero,
a questa grazia incancellabile.
Passi, ora leggeri,
respiro intatto,
qualcosa si apre e mi libera,
spariscono le tracce dell’affanno.
Sono restituito alla mia dignità.
Qui non valgono “bello” o “brutto”:
qui dimora il Mistero
e il suo dono infinito.
“Venga il tuo Regno…”.
Luciano Galassi
RITORNO ALLE RADICI
(luoghi d’amore)
Lassù, dentro l’anima,
i primi balbettii del mondo.
Per ogni neonato,
per ogni cuore fatato.
Il miracolo dell’acqua.
E la paura, di notte.
Abbà, Padre.
Tu che mi sollevi al cielo
e mi colmi di dignità,
e io, smarrito,
tra rivoli di sangue e di dolore.
Abbà, Padre,
sorgente di Luce,
grazia sovrabbondante e gentile.
Dalla mia bocca esce un urlo, un pianto.
Non tormentarmi più !
Cerco la pace.
Solo, nudo, pieno di pianto,
invoco la tua Luce.
E so che sono qui le mie radici.
Cammino e piango,
piango e cammino.
Sono tuo figlio, ora lo so.
Anche per me la tua acqua e il vento.
E ora sento tutto vibrare dentro me
e mi accompagnano gli antichi dolori
di mille vite.
Anche per me la pace.
Anche per me la pace.
Questo mondo e la sua gioia,
la nostra benedizione.
Come tanti uccellini pigolanti,
ci abbeveriamo alle tue mani,
sazi della tua pietà,
e degli infiniti doni.
Quanto più grande la nostra fragilità,
tanto più cresce la nostra riconoscenza.
Ma non ci hai voluti straccioni.
E mi apro alla mia immensa sete della vita,
alla mia gola riarsa.
Ti ricordi di me ?
Ti ricordi del mio pianto ?
E d’improvviso torna la luce,
torna il silenzio,
un silenzio che prega:
nient’altro …
Luciano Galassi