LE SORELLE E I FRATELLI DELLA PACE
Giunsi in vista della piazzetta per caso.
Dovevo essermi sbagliato a girare, proprio all’ultimo incrocio.
Erano quasi le dieci di un sabato mattina, e la piazzetta era tutta gremita.
C’era gente di tutte le età e tutti erano seduti, qualcuno anche in terra, specie i bambini.
La cosa che mi colpì fu il clima di compostezza.
Decisi di fermarmi.
Saranno state 300 persone, eppure si percepiva un diffuso silenzio, tanto che si poteva chiaramente sentire l’acqua che scorreva in una modesta fontana, e la non lontana risacca del mare.
Dopo la sorpresa, mi pervase la curiosità.
Chi era tutta quella gente e perché si trovava lì, e come mai quell’inconsueto silenzio ?
Mi avvicinai quasi in punta di piedi, per non disturbare.
Sulla parete di una casa vidi un foglio, scritto con una grafia incerta, probabilmente di un bambino: “Sabato mattina siete tutti invitati per la festa delle sorelle e dei fratelli della Pace”.
Era una prima, importante notizia.
Mentre mi avvicinavo, solo un bambino e un vecchio si accorsero di me, e mi indirizzarono un semplice sorriso d’accoglienza.
Trovai posto in un banco e mi disposi a vedere e ad ascoltare, anche se pochi parlavano, e con voce pacata.
L’incontro, la festa, proseguirono per tutta la mattinata, nella quiete.
La giornata primaverile sembrava quasi partecipasse alla festa.
Verso le 13 la gente lentamente si spostò in uno slargo adiacente per mangiare.
Il vecchietto di prima, invitò gentilmente anche me.
Vista la sua cortesia mi permisi di chiedergli maggiori notizie su quella insolita e serena festa.
Il vecchio – che si chiamava Giovanni – mi spiegò che quella festa si ripeteva oramai da diversi anni. Si trattava di partecipazione e, un po’, di rappresentazione e celebrazione.
La parte centrale della festa consisteva in una chiamata, una convocazione di diversi bambine e bambini su una piattaforma leggermente rialzata, proprio al centro della piazza.
Era un bambino più grande a chiamarli:
“Ecco le sorelle e i fratelli della Pace !”
E uno dietro l’altro i bambini, che rappresentavano ciascuno una “virtù” legata alla Pace, salivano lentamente, come piccoli testimoni, sulla pedana e lì restavano in piedi, in silenzio e con un braccio alzato.
A ciascuno il Sindaco consegnava un fiore.
Così, ad uno ad uno, furono chiamati sulla pedana:
la Giustizia, il Rispetto, la Tolleranza, la Solidarietà, la Commozione, la Pietà, la Bellezza, l’Armonia, la Gentilezza, la Fraternità, la Tenerezza, il Sorriso, il Perdono, la Condivisione, la Saggezza, la Fantasia, la Gioia, l’Ascolto, il Silenzio, la Serenità. Il bambino più piccolo fu chiamato in rappresentanza del Candore dell’Innocenza.
I fiori vennero poi legati a dei palloncini e lasciati salire verso il cielo.
Gli occhi di tutti li seguirono a lungo.
Quella semplice ma sincera cerimonia, a cui ciascuno sentiva la necessità di partecipare, vide cadere lacrime di commozione.
Erano consapevoli che dall’impegno di ciascuno poteva nascere un clima migliore per tutti, e che dall’esempio degli adulti i bambini avrebbero tratto linfa vitale anche per il mondo di domani, la casa dei loro giorni a venire.
Così ogni anno tutti insieme volevano ricordarlo e ribadirlo.
La festa si concluse con delle danze e dei canti.
Mani grandi e mani piccine si unirono, infine, in un gioioso girotondo.
Io mi sentivo ormai parte di quella piccola-grande comunità, in una calda fratellanza che nasceva dal cuore.
Lentamente scese la sera. Ciascuno tornò alla propria casa.
Nella piazzetta, sulla pedana, restarono dei lumini accesi, uno per ciascun bambino.
Insieme formavano un semplice e suggestivo chiarore: quello delle sorelle e dei fratelli della Pace.
La luce che ognuno portò con sé.
Luciano Galassi