Questa immagine, ritrae lo scultore Giuseppe Zepponi  (1934 - 1984) di Filottrano (AN), bambino.  

[ per gentile concessione della figlia Lorella ]

Un’INFANZIA  da  re-immaginare

Conosco questa foto da diversi anni, ma la sua “essenza” mi si sta rivelando un po’ per volta, e credo che la foto dovrebbe far molto riflettere i genitori, gli educatori, gli insegnanti.

 

La foto, che ritrae Giuseppe Zepponi bambino, risale probabilmente agli inizi degli anni quaranta, del secolo scorso.

L'ambientazione potrebbe essere quella di una colonia estiva.

La foto si direbbe essere stata "preparata", visto che Giuseppe è seduto su un "tappetino", forse un asciugamano, accanto a delle sue piccole "sculture", forse in terra.

Una foto dunque nata da un apprezzamento per le sue creazioni, e a lui dedicata.

Gli altri bambini gli fanno corona, sullo sfondo.

Per fortuna non siamo ai nostri giorni, dove un bambino, di fronte alla macchina fotografica (poco comune allora ) si esibisce spesso in un "cheese", che è un concentrato di stupidità e di alterazione profonda della realtà emotiva del momento, che pare interessi poco fissare.

Il "cheese" sembra diventato un sorriso collettivo, finto e cretino, a cui siamo oramai tristemente abituati, quando si scattano foto.

Qui siamo certamente fortunati perché la foto ritrae Giuseppe in una perfetta e serena spontaneità, che lascia sorpresi e colpiti.

Nel prosieguo della vita, Giuseppe sarebbe diventato uno scultore, dunque qui siamo alle origini della sua ispirazione e manifestazione artistica.

Giuseppe è colto (non si è messo in posa, né è stato indotto a farlo) in una espressione di straordinaria intensità, e la sua immagine ci permette di cogliere un frammento di identità profonda (così lontana dall'infantilismo programmato, in cui rinchiudiamo i nostri bambini) che ci fa sperimentare qualcosa che appartiene alla universalità della infanzia.

Questa foto è dunque un dono prezioso, quasi unico, da scriverci un libro o una tesi di laurea, visto che ci consegna il volto "inedito" dei sentimenti profondi che appartengono all'infanzia, e che, di solito, snobbiamo, come fossero solo gli adulti i detentori di una emotività e di una sensibilità "affidabili", sedimentate, credibili e mature.

Giuseppe è indifferente all'apparire e non si preoccupa di mostrarsi "simpatico" di fronte alla macchina fotografica.

Nel suo disinteresse a mostrare una facciata di sé, Giuseppe si rivela in una grande profondità.

Quello di Giuseppe è un moto spontaneo che sbaraglia tutte le nostre "buone intenzioni", che partono da un presupposto errato: quello di un'infanzia da modellare, anziché da osservare e ascoltare, da scoprire.

Il Giuseppe della foto è la realtà, realtà che si propone al nostro sguardo, se abbiamo intenzione di essere obiettivi.

Diversamente non vedremo, seguiteremo con i nostri schemi asfittici e tormenteremo i bambini, allontanandoli dalla vocazione che è propria di ciascuno, li adatteremo ai nostri modelli, esercitando una sottile violenza.

Giuseppe ci fa, involontariamente, un grande dono: quello di farci accedere ad un barlume della profonda intensità che appartiene agli umani, e ai bambini in primo luogo. Si accede ad uno "spazio" sacro.

 

Un'immagine, uno stato, che incutono rispetto, tanto da consigliare un senso di "timore".

Giuseppe sembra rapito, lontanissimo da ciò che lo circonda, e come ritirato in uno spazio interiore segreto.

Giuseppe è avvolto da una struggente e malinconica dolcezza.

 

Credo non si possa che essere sorpresi e toccati da questa immagine, e forse la sensazione iniziale di tenerezza è solo il primo strato di una visione che ci porta in profondità.

Non c'è compiacenza, né orgoglio di mostrare le proprie "creazioni".

Quasi certamente sono proprio quelle all'origine di una foto dedicata solo a lui.

E il suo volto, il suo sguardo (anche se gli occhi appaiono chiusi), la sua mano destra, sono tutti orientati verso le sue piccole "sculture".

Ma la luce del suo sguardo è soprattutto ritirata all’interno, come una torcia nel buio.

Sembra l’istantanea di un’esistenza destinata alla frequentazione dell’interiorità, a scavare nell’interiorità, come un cercatore di pepite.

Giuseppe sembra “infinitamente” solo, ma forse si tratta di una solitudine inevitabile e che non va consolata o spinta verso la “socializzazione (terribile cosa, che rischia di devastare l’anima !).

 

Credo capiti raramente di vedere un bambino in un "raccoglimento" così profondo, una profondità e una "maturità" di solito impensabili.

C’è un senso di struggimento che potrebbe apparire eccessivo, stonato, che forse non dovrebbe albergare nell’animo di un bambino, che potrebbe quasi apparire "troppo".

Ma questo è solo un luogo comune o un pio desiderio, che non intende prendere atto della realtà così com’è.

Di quella realtà fa parte il Giuseppe della foto, e dovremmo interessarci di ciò che quella struggente espressione ha da dirci, piuttosto che desiderare di cancellarla o mitigarla.

Frenando il nostro slancio interventista e “normalizzatore”, forse potremmo scorgere un altro orizzonte, magari sintonizzandoci con ciò che viene evocato dentro di noi (e con la speranza che non ne scaturisca un penoso,e troppo facile, “Poverino !”).

Solo questa attenzione può evitare il rischio di un’invasione violenta e negatrice, rubando diritto, bellezza e dignità di essere per come si è.

 

Un'immagine così intensa, dunque, da apparire quasi "irreale".

Giuseppe è colto in un momento di "rapimento", di ritiro in sé, in una condizione di infinita e viva solitudine.

Forse è intimamente rapito da ciò che gli appartiene, a cui appartiene.

E’ nella sua casa segreta, in un istante prezioso e raro, di perfetta sintonia.

È “lontano” e quasi “irraggiungibile”, è "altrove".

Eppure in quella profondità qualcosa si sta rivelando.

Noi possiamo solo tentare di seguirlo, in questo stato così struggente, attraverso l'intuizione.

 

Un’immagine, un istante che non hanno bisogno di nulla, se non di un abissale rispetto. Sono completi, compiuti, esattamente così.

Un istante “perfetto”.  C’è totale pienezza.

E’ un momento di grazia, di totale presenza.

Anche se a qualcuno potrà sembrare troppo, o non adeguato ad un bambino, io parlerei di un istante di “illuminazione”, e di Giuseppe come un piccolo Buddha.

Cosa può essere aggiunto, a tanta "ispirazione", a tanta “pienezza” ?

Qualunque intervento sarebbe stonato, inopportuno, non necessario.

Sicuramente si possono farei notevoli danni, magari strappando il bambino da quello "spazio" che percepiamo come "irraggiungibile" e, soprattutto per noi, non controllabile, non “gestibile”.

Già, perché il controllo ci appare come una "garanzia" che tutto sia “come deve essere”.

 

La nostra scuola sembra avere soprattutto la vocazione a “riempire” (di contenuti, nozioni, teoremi, poesie a memoria, ecc) e a controllare.

Scriveva Mario Lodi negli anni ’50:  “Io e un po’ tutti i colleghi, con diverse sfumature, siamo come la mia vecchia maestra, in una posizione di necessaria sfiducia nei confronti del bambino-scolaro. […] … tutti presi dall’obbligo di svolgere il programma assegnato ad ogni classe, siamo diventati scaltri ed esperti nell’intuizione del dolo e della repressione. Ci formiamo a poco a poco l’anima del maresciallo”.

Formalmente il controllo lo giustifichiamo come deputato alla tutela del bambino e del futuro adulto, ma di fatto rischia di essere un massacro, la devastazione di una sorgente preziosa, di un'aurora di luce che chiedeva solo di essere rispettata e di crescere.

“Nel mondo umano, le nostre capacità innate, fin dalla scuola ci abituiamo a perderle, per confezionare un pensiero collettivo”, dice Raffaele Morelli.

Impegnati a seguire il “rasserenante” Programma scolastico, a “riempire” e a controllare, si rischia di “svuotare”, ossia di togliere ciò che c’è già e che, secondo la nostra logica, non dovrebbe neppure esserci.

Forse gli insegnanti dovrebbero andare alla ricerca degli autentici talenti dei singoli bambini, anziché limitarsi a cercare di renderli tutti uguali.

C’è bisogno della diversità e non della omologazione.

Quanti talenti, quanti doni perdiamo, per nostra smania di creare cloni, di uniformare, di "educare" ?

Sapersi arrestare sulla soglia e accostarsi in punta di piedi, è ciò che si addice all'incontro con qualcosa che appartiene al mistero e che non può essere violato, solo perché ci si trova di fronte ad un bambino.

Quell'essenza misteriosa non ha età e va trattata con ogni rispetto, con uno sguardo nuovo ed attento.

È la nostra "geografia" dell'infanzia (e della persona) a dover mutare.

 

Quella di Giuseppe è forse la rappresentazione di una “diversità” (e, ancora, di uno spazio di “resistenza”), ma solo perché esula dai nostri modelli omologati.

E’ allora un invito ad avventurarsi in territori oltre la “norma”, e per i quali servirà una diversa immaginazione, un differente “vocabolario” e, soprattutto, una limpida e sincera disponibilità.

Questa foto è un possibile invito ad aprire gli occhi, a guardare veramente, ad abbandonare le immagini preconfezionate che ci sono state consegnate attorno all’infanzia.

C’è un’altra realtà da vedere, da scoprire, da immaginare. C’è un diverso orizzonte che ci vive accanto e dentro.

Giuseppe ci ha fatto il dono di mostrarcelo.

 

Luciano Galassi     

(gennaio 2014)

 

STRUGGENTE DOLCEZZA

 

C’è, bambino, qualcuno che ami più di te questo mondo di dolcezza, di incanto e di beatitudine ?

La tua creatività è figlia della tua anima, è figlia di questa Terra, di questo universo senza confini.

Si può non essere accanto a te, accanto a tutti i bambini e al loro amore per l’esistenza ?  

Il tuo “tappetino” è come un luogo sacro, troppo spesso violato …

Sta a noi imparare quali confini hanno da essere rispettati e inviolabili.    

 

 

Di seguito alcune immagini di sculture realizzate da Giuseppe Zepponi nel corso della sua attività artistica

Sculture di Giuseppe Zepponi

 

 

   LA DIMORA DELL’INFANZIA….                

   ... dei bambini, principi dell'entusiasmo  

 

Candidi sorrisi si affacciano alla vita e apprendono a camminare nella libertà.

Hanno ali d’oro e si lasciano portare dal vento.

Portano a tracolla una sacca piena di stelle, con cui seminano il cielo di luminose speranze.

Non hanno un nome, perché li hanno tutti, e si tengono stretti come un unico sole.

Sono pronti per ogni avventura, per infinite, finte battaglie, per terra e per mare, fratelli di tutti e di ogni cane, di ogni gatto, di ogni uccellino.

Hanno occhi brillanti, pieni di desideri e di voglia di correre, e la bocca come un serbatoio di trilli, pronti a sprizzare alla prima occasione che faccia appassionare il cuore.

Tutto è lì, sulla punta della lingua o dei piedi, trattenuto da una fragilissima diga di zucchero filato, di liquirizia o di gelato con la panna.

E’ la dimora dell’infanzia, di ogni infanzia non ancora tradita, oppure ritrovata tra le bufere della vita.

Infanzia di casa nella Primavera, nello splendore delle gemme, nella neve che si scioglie, nei voli degli scoiattoli, nei prati benedetti dai fiori, nei sogni antichi e sempre nuovi del mondo.

I bambini sono i più fedeli amici del vento e degli alberi in fiore, degli aquiloni, delle torte col cioccolato e dei raggi di sole, regalati, come frecce, dalle candide, amiche nuvole.

 

Luciano Galassi

(febbraio 2014)